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Repubblica-Università, rivolta dei ricercatori lezioni bloccate in 28 atenei

La protesta ha rinviato o addirittura bloccato "sine die" l'avvio dei corsi. Il 45% della didattica è affidata a loro. "Ma siamo una categoria in via d'estinzione" Università, rivolta dei r...

08/10/2004
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la Repubblica

La protesta ha rinviato o addirittura bloccato "sine die" l'avvio dei corsi. Il 45% della didattica è affidata a loro. "Ma siamo una categoria in via d'estinzione"
Università, rivolta dei ricercatori lezioni bloccate in 28 atenei
"No alla riforma Moratti". Con loro anche i senati accademici

"Il nostro lavoro affidato ai co.co.co, non ci saranno più assunzioni stabili"
La Conferenza dei rettori ha chiesto al ministro di sospendere l'iter parlamentare
GIANCARLO MOLA

ROMA - Dire che l'anno accademico comincia nel caos sarebbe scorretto. Perché nelle principali università italiane, le lezioni rischiano di non cominciare affatto. Negli atenei la protesta è montata, lentamente ma inesorabilmente. Fino a diventare una valanga. Sulle barricate ci sono i ricercatori, categoria in via di estinzione, secondo il disegno di legge delega del ministro dell'Istruzione Letizia Moratti. Accanto a loro si sta però mobilitando l'intero mondo accademico, dai professori agli studenti. Risultato: corsi che slittano di una, anche due settimane. O addirittura sospesi "sine die", fino a quando la riforma non sarà ritirata dal Parlamento, come ha deliberato ieri il senato accademico dell'Università della Basilicata.
Una rivolta, insomma. Che adesso coinvolge 28 atenei, dalle tre università di Roma alla Statale e alla Bicocca di Milano, dal Politecnico di Torino alla Federico II di Napoli, da Palermo a Trieste. Qui, i ricercatori hanno deciso di non accettare gli affidamenti, si sono rifiutati (come la legge gli consente) di fare lezione. E non è cosa da poco, se si pensa che circa il 45 per cento della didattica universitaria è affidata a loro. Quasi dovunque i ricercatori hanno ottenuto il sostegno esplicito dei senati accademici. Che in alcune circostanze hanno deciso addirittura di ritardare - o sospendere - le lezioni. Slittamenti si sono già registrati in numerose facoltà della Sapienza (11, per la precisione) di Palermo, di Padova, di Napoli, dell'Università della Calabria, dell'Aquila, di Lecce, di Firenze. "Facciamo una fatica enorme a tenere il conto delle proteste. Le manifestazioni di dissenso si allargano a macchia d'olio. Quello che possiamo dire è che non c'è una sola delle università in fermento in cui non ci sia almeno una facoltà ferma", spiega Marco Merafina, leader del Coordinamento nazionale dei ricercatori.
Tante le iniziative. La richiesta, però, è una sola: ritiro immediato del disegno di legge approvato il 31 luglio dalla Commissione cultura della Camera e ora pronto per l'esame parlamentare. Un testo che ai ricercatori non piace per molte ragioni. In primo luogo perché ne cancella la figura. "Finiamo su un binario morto", prosegue Merafina. "Non ci saranno più assunti a tempo indeterminato. La ricerca sarà affidata a persone con contratto a progetto, cioè a co. co. co candidati a decenni di precariato. Noi saremo estromessi da ogni attività didattica, a meno di fare un concorso per diventare professori aggiunti, cioè docenti di serie B. Nella migliore delle ipotesi, perché tutto il disegno di legge della Moratti non chiarisce quali risorse finanziarie avranno a disposizione gli atenei".
Ma nel mirino c'è anche la norma che elimina i contratti di docenza a tempo definito, che attualmente riguardano i professori che svolgono attività professionali fuori dall'università. "È un regalo a questi docenti" accusano al Coordinamento nazionale dei ricercatori. "Continueranno a fare entrambe le cose, ma percependo dall'università lo stipendio pieno. E creando un pesante aggravio economico: alla Sapienza di Roma i professori a tempo parziale sono il 7 per cento del totale: il passaggio al tempo pieno costerebbe all'università dieci milioni di euro. Ebbene, continuando con gli affidamenti il costo annuo sarebbe di tre milioni e mezzo di euro".
Non sono soli, i ricercatori. Il disegno di legge del governo fa storcere il naso a tutte le componenti del mondo accademico. La Conferenza dei rettori ha chiesto mercoledì scorso al ministro di "sospendere temporaneamente l'iter parlamentare del disegno di legge delega sullo stato giuridico dei docenti universitari e sul relativo reclutamento, non disponendo di alcun quadro certo circa le risorse finanziarie destinabili a provvedimenti che sarebbe del tutto illusorio e fuorviante immaginare senza oneri immediati e in prospettiva". E ieri, durante la manifestazione davanti alla Sapienza di Roma, il prorettore Gianni Orlandi si è schierato apertamente con i ricercatori: "La riforma va respinta in toto. Con noi docenti ci sono anche molti studenti, e questo conferma che è tutta la comunità accademica a ritrovarsi unita nel rigettare il disegno di legge del ministro". A Bari e Firenze, addirittura, la contestazione è stata approvata anche dal corpo non docente. I sindacati confederali e le associazioni dei professori universitari, nel frattempo, hanno indetto per oggi pomeriggio una riunione a Roma per decidere su una eventuale mobilitazione nazionale.
E il ministro? Letizia Moratti finora ha preferito la linea dura: "Il disegno di legge non sarà ritirato", ha ribadito più volte. Ieri però ha deciso di gettare acqua sul fuoco: "Siamo consapevoli del ruolo che i ricercatori hanno svolto in tutti questi anni. Cercheremo un'intesa con la Conferenza dei rettori per trovare soluzioni che tutelino questa categoria nello spirito delle leggi vigenti. Nel momento in cui stiamo verificando insieme quelle che sono le diverse problematiche, mi pare strano che ci siano delle manifestazioni, pur comprensibili dal punto di vista dell'autonomia e della libertà di espressione da parte degli atenei". Un timido segnale di apertura. Che - secondo voci circolate negli ultimi giorni - potrebbe portare a un faccia a faccia con i rappresentanti dei ricercatori, finora sempre negato.


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