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Repubblica: Una bussola per scrivere la Carta dei valori

STEFANO RODOTA ' ....Se la scuola diventasse il luogo dove ciascuno si separa dagli altri, si chiude nelle proprie convinzioni e costruisce una "ben rotonda identità" inscalfibile dall´esterno, perderebbe l´essenziale sua funzione sociale: non solo dare fondamenti comuni di conoscenza, ma abituare al confronto, considerare la diversità dei modi d´essere e delle opinioni come una ricchezza, riconoscere l´altro e non prendere da lui le distanze. Una scuola non più spazio pubblico di confronto, ma somma di ghetti, preparerebbe al conflitto, non alla convivenza

10/08/2006
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la Repubblica

Valori, valori… Affidarli ad una "Carta" nuova di zecca? Dedicare ad essi un seminario? Discuterne in apposite "giornate politico-culturali"? Rinunciare ad occuparsene perché, come nota sconsolatamente qualcuno, non vi sono personalità in grado di nutrire un dialogo adeguato, sì che il silenzio sarebbe la scelta migliore?
Il tema non può essere eluso. È entrato con prepotenza nella discussione politica. A destra, sia pure con una certa stanchezza, si esibisce da tempo un testo che fa molto "Dio, Patria, Famiglia", e Mercato (con le maiuscole d´ordinanza). Nel variegato arcipelago tra centro e sinistre la parola "Carta" assume quasi il valore d´una bacchetta magica, grazie alla quale costruire identità nuove o, almeno, spianare in qualche modo la strada al Partito democratico.
Ma "Carta" è parola che non può essere usata impunemente. Non è indolore il suo sostituirsi a termini tradizionali come "programma" o "manifesto". Non esprime soltanto intenzioni, propositi. Indica una fondazione, un terreno nel quale si radicano principi, si definisce una identità in alternativa ad altre. Una domanda, allora. Una Carta dei valori l´abbiamo già, ed è (o dovrebbe essere) la Carta costituzionale. Le nuove carte ambiscono ad integrarla, a relegarla in un ruolo puramente decorativo, addirittura a sostituirla? Qual è il destino della "Bibbia laica" nella quale, come voleva Carlo Azeglio Ciampi, tutti dovrebbero riconoscersi?
Vi è un dato politico ed istituzionale che non si può ignorare. È il risultato del referendum sulla riforma della Costituzione, che non soltanto ne ha evitato lo stravolgimento, ma le ha dato una nuova legittimazione. Ricordate? Tutti e due gli schieramenti in campo proclamavano la loro fedeltà alla prima parte della Costituzione: anzi, gli stessi sostenitori della riforma si affannavano a sottolineare come fosse rimasta al riparo da ogni modifica. Ora, proprio quella prima parte, intoccata e rilegittimata, è il luogo dei principi e dei valori. Se ne terrà conto nella nuova discussione? E vi è un dato politico e culturale altrettanto significativo. Le costituzioni, e i valori in esse affermati, individuano un terreno comune, ricercano condivisione, vogliono far nascere un "patriottismo costituzionale".
Le carte di cui oggi parliamo, invece, sembrano piuttosto voler costruire identità separate, segnare differenze e confini. Le costituzioni uniscono e le carte dividono?
Per non correre verso conclusioni frettolose, o estreme, bisogna considerare più analiticamente le concrete posizioni politiche, cercando di cogliere anche una sorta di spirito del tempo che può dirci come oggi sia percepita la dimensione costituzionale. A dispetto dei molti inchini alla prima parte, negli ultimi anni si sono manifestati con chiarezza orientamenti volti a rimetterla sostanzialmente in discussione: vi sono proposte esplicite di riscrittura di alcuni articoli iniziali della Costituzione, che sarebbero invecchiati, frutto di schemi ideologici e politici superati. E si è manifestata una tendenza più insidiosa che, senza parlar di riforme, in realtà punta all´accettazione di valori alternativi a quelli espressi nella prima parte della Costituzione. Proprio perché oggi cambiamenti formali appaiono improponibili, la spinta verso la revisione strisciante non si arresta e non sempre trova adeguate reazioni da parte di chi dichiara fedeltà alla Costituzione, e dovrebbe concepire le nuove carte come uno sviluppo della sua logica e dei suoi valori.
Una recente proposta del cardinale Scola sui problemi dell´istruzione aiuta a comprendere meglio quel che sta accadendo. Si prospetta la fine della scuola pubblica, così come finora l´abbiamo conosciuta, e il passaggio ad un sistema nel quale lo Stato mette a disposizione della "società civile" una infrastruttura, che poi gruppi, confessioni religiose, movimenti potranno utilizzare per organizzare l´insegnamento nel modo ad essi più congeniale, nel rispetto di alcuni principi comuni. Semplificando assai, si potrebbe fare un confronto con una autostrada, percorribile da tutti, ma dove poi ciascuno circola come e quando vuole, fermo il rispetto di alcune regole minime su limiti di velocità, sorpassi e via dicendo.
Quella proposta viene presentata come una interpretazione dell´art. 33 della Costituzione, sostenendo che qui, parlando dell´obbligo dello Stato di istituire scuole, si vuol dire appunto che lo Stato deve solo istituirle, non gestirle. Con l´abituale sua finezza, Francesco Margiotta Broglio ha elencato le ragioni che rendono questa interpretazione palesemente contrastante con la Costituzione ed ha sottolineato come il risultato indicato dal cardinale Scola sia realizzabile solo con una modifica dell´art. 33. Sarebbe sbagliato, tuttavia, vedere in quella proposta soltanto un episodio del rinnovato conflitto tra laici e cattolici. Sono piuttosto due idee di società a confrontarsi, dunque due modi di produrre valori e identità.
Se la scuola diventasse il luogo dove ciascuno si separa dagli altri, si chiude nelle proprie convinzioni e costruisce una "ben rotonda identità" inscalfibile dall´esterno, perderebbe l´essenziale sua funzione sociale: non solo dare fondamenti comuni di conoscenza, ma abituare al confronto, considerare la diversità dei modi d´essere e delle opinioni come una ricchezza, riconoscere l´altro e non prendere da lui le distanze. Una scuola non più spazio pubblico di confronto, ma somma di ghetti, preparerebbe al conflitto, non alla convivenza. Si negherebbe così anche un elemento costitutivo della democrazia, che consiste proprio nella continua esposizione alla varietà infinita del mondo. Qui trova le sue radici l´identità del cittadino democratico. E queste sono considerazioni da tenere ben presenti quando si vuole affidare a separate "carte dei valori" la produzione di identità politiche.
Vi è molto da lavorare, invece, per riprendere il filo della riflessione sui valori muovendo dal terreno comune della Costituzione. E questo significa ripartire proprio dal suo inizio, da quell´art. 1, che ci parla dell´Italia come di "una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Non è una formula retorica o invecchiata. Oggi, ancor più che ieri, l´associazione tra libertà e dignità delle persone è questione centrale. Rileggiamo, allora, l´art. 36, che ci parla dell´"esistenza libera e dignitosa" del lavoratore, o l´art. 3 che ci ricorda come la pari dignità "sociale" sia fondamento dell´eguaglianza.
Ancora. La trama dei diritti della prima parte esige una attenzione rinnovata, che ne mantenga la capacità di garantire libertà fondamentali in un ambiente segnato profondamente dall´innovazione scientifica e tecnologica, che cambia il senso della libertà di comunicazione, informazione, circolazione, e della stessa libertà personale. E questo impone anche un chiarimento sulla sicurezza come valore in sé, per diverse ragioni enfatizzato fino a prospettarlo in forme tali da determinare limitazioni inammissibili di diritti, mettendo in discussione caratteri essenziali della democrazia.
Quest´orizzonte più largo può evitare che la discussione sui valori si concentri tutta sui temi della bioetica che, proprio perché caldissimi, esigono misura, capacità di distinzione, rispetto delle opinioni altrui. Il compromesso appena raggiunto sulle cellule staminali non è esaltante, anzi per molti versi manifesta ipocrisie e voglia di sottrarsi a scelte più impegnative. E tuttavia mostra che, sia pure attraverso spiragli strettissimi, un dialogo è possibile, che i fondamentalismi non l´hanno sempre vinta e che, quindi, deve essere evitata l´esibizione muscolare delle identità (anche se gli ottimismi sono stati subito gelati dalle reazioni alle legittime iniziative della ministra Turco sulla revisione delle linee guida sulla procreazione assistita).
Che la discussione sui valori non sia tutta affidata a progettazioni di carte, ma sia affare quasi quotidiano, lo conferma l´aspra discussione sull´indulto. Una sola considerazione. Ero e rimango favorevole a indulto e amnistia. A quale prezzo? A qualsiasi prezzo, si è risposto, con buoni argomenti umanitari. A questo punto, però, onestà vuole che si chiamino le cose con il loro vero nome e si dica che, mancando l´estensione ai reati finanziari e di corruzione, Forza Italia non avrebbe dato il suo voto determinante. Non si intorbidino le acque, allora, accusando i critici di peccato "giustizialista". Ho una onesta militanza garantista degli anni difficili, quando moltissimi tra i paladini di oggi erano dall´altra parte, e so bene che proprio l´inflessibile difesa di taluni principi dà forza alla tutela dei diritti fondamentali. Una delle tante emergenze italiane ha imposto, una volta di più, che si negoziasse su ciò che negoziabile non dovrebbe essere. Ma, proprio parlando di valori, quell´etica pubblica invocata da Eugenio Scalfari non dovrebbe meritare un posto privilegiato nelle Carte e, si spera, soprattutto nei comportamenti a venire?


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