Repubblica-"Un attacco all'università pubblica" i rettori contro il nuovo precariato
LA PROTESTA Pioggia di critiche alla riforma delle docenze che domani potrebbe essere votata in Consiglio dei ministri "Un attacco all'università pubblica" i rettori contro il nuovo precar...
LA PROTESTA
Pioggia di critiche alla riforma delle docenze che domani potrebbe essere votata in Consiglio dei ministri
"Un attacco all'università pubblica" i rettori contro il nuovo precariato
Cresce la rabbia dei ricercatori. "Non è così che si contrasta la fuga all'estero dei cervelli"
Lo scontro sempre più aspro con il governo. Una raccolta di firme alla Sapienza di Roma
CLAUDIA DI GIORGIO
ROMA - Tra governo e università si riapre lo scontro. Sembra infatti molto vicina, forse addirittura domani, l'approvazione in Consiglio dei ministri di una riforma delle docenze universitarie che non piace a nessuno.
Non piace il metodo (quello della legge delega), ma non piacciono soprattutto i suoi contenuti. La risposta del governo all'esigenza di contrastare la fuga dei cervelli offrendo prospettive sicure ai giovani talenti italiani è infatti quella di sopprimere la figura del ricercatore universitario, trasformandolo in co.co.co. Dunque in precario.
Il contrario di ciò che ci si aspettava da una riforma delle docenze, e cioè che estendesse lo stato giuridico anche ai ricercatori, che già da tempo svolgono, quasi tutti almeno, un corso e molti anche più d'uno.
"È difficile che l'instabilità travestita da elasticità possa stimolare la ricerca", commentano i giovani dell'ADI, l'associazione dei dottori di ricerca, sottolineando che "mentre le università straniere si contendono i giovani più brillanti offrendo opportunità d'inserimento, l'Italia offre i famigerati co.co.co".
"Il piano complessivo del ministro è evidente" secondo Antonio Marsilia, segretario Generale della Cisl Università. "Si vuole costituire una base estesa di precariato lasciando pochi professori a chiudere la piramide".
Lo schema Moratti estende infatti il precariato anche ai professori associati, con contratti a termine di durata non superiore a sei anni, conclusi i quali potranno entrare in ruolo, ma non a concorso, bensì in base a criteri di valutazione imprecisati.
"Il governo vuol far pagare a ricercatori e docenti il prezzo dei tagli al settore", è l'accusa di Flaminia Saccà, responsabile ricerca e università dei Ds, secondo cui la riforma "mina d'un colpo l'autonomia universitaria e la valutazione", mentre "l'università italiana ha bisogno di investimenti, di meritocrazia, di giovani, e non di essere svenduta in questo modo".
E le iniziative sono già partite. La Conferenza dei rettori universitari, il cui comitato di presidenza si è riunito ieri per discutere la riforma, presenterà oggi alla stampa un documento in cui chiarisce il proprio giudizio negativo su molti dei punti del progetto, di cui chiede che venga sospesa la discussione in Consiglio dei ministri, e che si apra invece un'ampia consultazione della comunità accademica.
Nel frattempo, ha già raccolto molte firme in poche ore l'appello di un gruppo di docenti e ricercatori della Sapienza di Roma, tra cui il prorettore Orlandi, che esprime "vivissima preoccupazione per questo ulteriore attacco al sistema pubblico dell'università italiana, che segue il taglio ai finanziamenti e il blocco delle assunzioni".
E si oppone anche il coordinamento nazionale dei "ricercatori senza presa di servizio", i 1700 giovani che, pur avendo vinto un concorso, hanno dovuto attendere l'intervento di Ciampi per essere finalmente assunti. Di precarietà, loro, se ne intendono parecchio. E ricordano che "dalla precarietà dei ricercatori scaturisce automaticamente la precarietà dell'intero sistema di ricerca".