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Repubblica-Uccidono il futuro dell'Università

Uccidono il futuro dell'Università ENZO GUARRASI GIOVANNI Ruffino è un buon preside (tene...

19/10/2004
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la Repubblica

Uccidono il futuro dell'Università
ENZO GUARRASI


GIOVANNI Ruffino è un buon preside (tenendo conto dei tempi in cui si trova a operare, direi straordinario) e la facoltà di Lettere e Filosofia è una struttura di cui la città di Palermo dovrebbe andar fiera. E non soltanto per la didattica, di buon livello, per i contributi alla ricerca umanistica, significativi, sia a livello nazionale che internazionale, ma anche per l'appassionata partecipazione che negli anni studenti e docenti della Facoltà hanno assicurato alle vita della città. Se non partiamo da queste premesse, non capiamo nulla della vicenda che ha portato alle dimissioni di Ruffino (e che nei particolari vi risparmio, perché troppo tecniche per il largo pubblico). Una cosa posso assicurare: non abbiamo alcuna intenzione di suonare in piazza, non abbiamo nulla da rimproverare a chi in questi ultimi anni, con sacrificio personale, ha diretto le sorti della Facoltà.

Il problema è un altro: sono le condizioni di stress, in cui si trovano a lavorare e studiare - nell'università degli studi, le due attività tendono a coincidere, o almeno così dovrebbe essere - presidi, professori e studenti, lavoratori dell'ateneo.
La crisi di Lettere è un segnale forte di un fatto che dovrebbe riguardare tutti: l'università in Italia è al collasso, l'anno accademico in forse, ma chi governa il Paese, la Regione, la città non se ne cura. Anzi, pare intento a remare contro.
Non sorprende: viviamo nel paese dei paradossi. In un Paese in cui chi ci ha trascinato in una guerra sciagurata proclama senza pudore Gheddafi campione di libertà. In una Regione che tra consensi e baci - ogni riferimento è puramente casuale - si dilapidano le risorse destinate alla salute a favore di pochi amici.
Se l'università, bene prezioso di tutti, è in crisi, a chi importa? Se la crisi rischia di travolgere l'unica vera riforma, quella che l'ha trasformata in università di massa, aperta a tutti, a chi interessa? Eppure è stata una scelta irreversibile. Una scelta giusta. Rispetto alla quale, l'istituzione è stata poi sempre inadeguata per scarsezza di fondi, per politiche incerte e contraddittorie. Oggi, più che mai.
Viviamo, dicono le scienze sociali, nella società della conoscenza - solo l'Italia, nel mondo, sembra non accorgersene - e il settore trainante dell'economia, il quaternario, ha bisogno di laureati, esige risorse umane creative, critiche e flessibili. Cioè capaci di innovazione, idonee alla ricerca. Ma come si apprende a fare ricerca in un sistema universitario senza fondi e distratto da carichi didattici intollerabili?
Ci dibattiamo in un quadro di apparenti dualismi. Non vi è conflitto reale tra dimensioni di massa e qualità degli studi, tra ricerca e didattica, tra università pubbliche e private, tra elaborazione di un sapere critico e professionalità.
A fondamento di tutto ciò sta un sistema universitario pubblico che, governando un flusso di risorse adeguate, sappia fondare la didattica sulla ricerca, sappia orientare il mondo del lavoro e delle imprese (e non il contrario: un'economia in crisi non può dettare i tempi e i modi di una riforma universitaria) verso i campi fruttuosi dell'innovazione e della ricerca. Tutto questo valorizzando la risorsa in assoluto più preziosa: l'intelligenza e la formazione delle nuove generazioni.
Non è solo lo stato giuridico dei professori (o dei ricercatori, che è lo stesso) in questione. Non è solo l'università che è minacciata. Governo e maggioranza stanno bocciando il nostro futuro. Non è un problema da addetti ai lavori, non riguarda soltanto i ricercatori universitari e Luca Cordero di Montezemolo. Alla ricerca e didattica di qualità, garantite da un'università di massa, sono legate le speranze di sopravvivenza dei nostri figli. Il nostro futuro.
La facoltà di Lettere appartiene a una specie che rischia l'estinzione. Salviamola.
Enzo Guarrasi


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