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Repubblica-Tosi: "Negli atenei troppi ostacoli basta riforme, sì alla valutazione"

INTERVISTA Parla il presidente della Conferenza dei Rettori. "Le università diventate una sorta di cantiere" Tosi: "Negli atenei troppi ostacoli basta riforme, sì alla valutazione" ...

17/06/2005
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la Repubblica

INTERVISTA
Parla il presidente della Conferenza dei Rettori. "Le università diventate una sorta di cantiere"
Tosi: "Negli atenei troppi ostacoli basta riforme, sì alla valutazione"
"C'è bisogno di una profonda revisione dei corsi di studio, a partire dagli obiettivi"
"La ricerca è alla base dell'innovazione, non esiste innovazione senza ricerca"
MARIO REGGIO


ROMA - Al professor Piero Tosi, presidente della Conferenza dei Rettori, abbiamo chiesto di fare il punto sullo stato di salute del sistema universitario.
Il Censis presenta la sesta indagine sugli Atenei italiani. Le università più forti confermano le eccellenze, quelle più deboli sembrano non reggere il ritmo.
"Da tempo la Conferenza dei Rettori invoca l'introduzione di un modello di valutazione degli Atenei sulla scorta di quanto avviene da anni in alcuni Paesi europei. L'autonomia, della quale le Università stanno acquisendo progressivamente l'importanza, è responsabilità delle scelte: ecco perché è andato crescendo nelle università il bisogno di autovalutarsi e di essere valutati. È indubbio che iniziative come quelle del Censis, che da anni ormai si misura con i criteri della classificazione delle attività universitarie - criteri e metodi che in qualche occasione sono stati in parte criticati anche da molti di noi - abbiano contribuito a far crescere la necessità improrogabile della valutazione. È chiaro che una valutazione che, come diciamo noi, deve avere parametri e indicatori, qualitativi e quantitativi, che siano sperimentati e trasparenti, è cosa diversa, soprattutto se, come è opportuno, deve porci in linea con quanto più volte affermato nell'associazione europea delle università. La stagione dell'autonomia ci consegna, e questo è fondamentale per valutare, un altro importante dettato: non è possibile pensare a ritorni centralistici. Occorre sviluppare pienamente l'autonomia che vuol dire per le Università competere in un sistema a rete, nel quale non è possibile che tutte facciano tutto, ma occorre che sviluppino le proprie peculiarità legate alla loro storia, alla loro consistenza, al contesto territoriale in cui vivono".
L'Università vive un momento di transizione, ma anche di sbandamento...
"Senza dubbio: viviamo ormai in uno stato di perenne fibrillazione. Ho più volte detto che le università italiane sono diventate una sorta di "cantiere permanente", nel quale, a fronte di una pressante serie di richieste provenienti dalla società sia nel campo della formazione che della ricerca, sono costrette a fare i conti con microriforme o frammenti di riforma. Manca un chiaro quadro strategico che faccia da cornice, nell'ambito del quale esse possano muoversi in piena autonomia, responsabili dei loro risultati. Lavorare in un cantiere non è facile e diventa ancora più difficile quando vi sono input contraddittori: per esempio da una parte il giusto rilievo per l'indispensabile integrazione fra ricerca e insegnamento, dall'altra l'istituzione di Università che non hanno un background di ricerca. Da questo deriva una pericolosa incertezza, che colpisce negativamente docenti e studenti e si ripercuote sulle famiglie e sulla società".
La riforma comincia a dare i primi risultati, ma gli ostacoli restano. I primi a pagarne le conseguenze sono gli studenti.
"La riforma dei corsi è stata introdotta troppo repentinamente, inducendo una serie di errori nella sua applicazione, che hanno finito per limitarne la portata innovativa. Ma risultati importanti ci sono stati. Il primo risultato è certamente quello di avere diminuito sensibilmente gli abbandoni, il secondo di avere abbreviato i tempi di laurea. Non è poco, ma non basta. Ora c'è bisogno di una profonda revisione dei corsi di studio a partire dalla definizione dei loro obiettivi e della loro strutturazione in contenuti. I docenti devono abbandonare quelle forme residue di individualismo, che sono in contrasto con la collegialità delle decisioni, e assumere la funzione di educatori in un processo che preveda la centralità dello studente e la valorizzazione dell'apprendimento più che dell'insegnamento. Gli studenti chiedono certezze, organizzazione, responsabilità. È per questo che la riforma non avrebbe dovuto essere modificata così rapidamente. Si sarebbe dovuto attendere a introdurre modifiche aspettando di verificare i risultati da essa prodotti, in modo da non sbagliare ancora e dare sicurezza agli studenti e alle loro famiglie".
Anche tra i docenti, da ultimo rispetto al ddl sullo stato giuridico, cresce il disorientamento. Quali sono i rischi di un cantiere sempre aperto?
"Per quanto riguarda lo stato giuridico, c'è da dire che il disegno di legge, del quale noi stessi abbiamo avvertito la necessità, avrebbe dovuto incidere positivamente sulla definizione dei diritti e dei doveri dei docenti e sulla messa a punto dello stato giuridico dei ricercatori, dando loro il giusto riconoscimento per il lavoro fatto in questi anni nei corsi di studio, esercitando una vera e propria attività di docenza. Ma, pur modificato, non solo non risolve i problemi ma anzi ha creato ulteriore disorientamento nell'Università. C'è bisogno di una riflessione nuova che consenta di riaffrontare i problemi sin dall'origine, ma qualsiasi proposta di riforma non può partire che da un netto rifiuto dei provvedimenti che si profilano nel Parlamento. Tutto il mondo universitario, dai "saggi" al più giovane dei dottorandi, è contrario alle soluzioni proposte. E, invece, occorrerebbe ritrovare una sintonia sulle questioni strategiche".
Tutti esaltano la ricerca, ma gli investimenti latitano. Quali effetti sulla didattica e la qualità del sistema università?
"Non perdo occasione per riaffermare la inscindibile unità fra ricerca e insegnamento. Il docente universitario è tale se può avvalersi di un'esperienza scientifica che ne abbia esercitato le capacità critiche e quindi la possibilità di far nascere nello studente la curiosità e la volontà di imparare ad imparare. Inoltre, la ricerca è alla base dell'innovazione, tanto che si può dire che non esiste innovazione senza ricerca, come è stato ritenuto troppo a lungo. Oggi paghiamo le conseguenze di questo errore, le paghiamo con la perdita di competitività del Paese e con il suo sviluppo frenato o fermo".


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