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Repubblica-Tettamanzi: "L'islam in classe un'occasione da non sprecare"

Tettamanzi: "L'islam in classe un'occasione da non sprecare" Il cardinale: l'integrazione deve cominciare sui banchi "La scuola di uno stato laico deve riconoscere tutte le identità religios...

21/07/2004
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la Repubblica

Tettamanzi: "L'islam in classe un'occasione da non sprecare"
Il cardinale: l'integrazione deve cominciare sui banchi

"La scuola di uno stato laico deve riconoscere tutte le identità religiose"
"Questa città pensi di più agli emarginati, agli stranieri e a chi è solo"
L'arcivescovo di Milano: "Il progetto rileva una necessità inderogabile"
DARIO CRESTO-DINA

MILANO - Il cardinale Dionigi Tettamanzi festeggerà i suoi primi due anni da arcivescovo di Milano dal 5 al 7 settembre con un grande incontro internazionale delle religioni organizzato dalla comunità di Sant'Egidio insieme con la diocesi ambrosiana. Ci saranno cristiani, islamici, induisti, buddisti, ebrei. Si parlerà di pace e dell'uomo, due parole che appaiono oggi inconciliabili per ciò che accade sul teatro del mondo. Si parlerà di Dio, del Dio delle differenti religioni, di un Dio offuscato dalla sua ombra, di un Dio che sembra rendere attuale la definizione di "Hitler cosmico" attribuitagli da Singer.
Cardinale Tettamanzi, lei è appena tornato da un viaggio ecumenico di pace a Gerusalemme, dove ha incontrato il cardinale Martini. Che giudizio dà alla crisi mediorientale?
"Sul conflitto palestinese-israeliano uso le parole del Vangelo: non giudicare. La situazione è talmente complessa che dare un giudizio è difficilissimo, se non impossibile. Nei giorni trascorsi a Gerusalemme ho colto però un grosso divario tra la gente e chi la governa. Mi riferisco sia agli ebrei sia ai palestinesi. Nelle popolazioni la volontà della pacifica convivenza esiste, nei politici ci sono sordità e conflitto continui. In quella terra l'ostinazione è inconcludente, serve un passo indietro. Ho incontrato là alcuni esponenti dell'associazione che riunisce i parenti delle vittime di entrambe le parti. Ho domandato a uno di loro, un ebreo: "È riuscito a perdonare?". Mi ha risposto: "A perdonare no, ma a comprendere e a dialogare sì"".
In Iraq soldati di un grande paese democratico hanno torturato prigionieri con modi che ci ricordano gli orrori del nazismo, nel nome di Dio abbiamo visto uomini sgozzare altri uomini come si fa con le bestie. Se è possibile tutto questo, dov'è finito Dio?
"È la domanda più difficile che possa essere rivolta a un credente, eppure ogni credente deve lasciarsi sfidare da questa domanda come fa lo stesso Gesù sulla croce quando grida "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Si dice che se c'è Dio non ci dovrebbe essere il male. Se c'è il male non ci dovrebbe essere Dio. Ma io pongo un'altra domanda: se c'è il male dov'è l'uomo?".
Sant'Agostino dice che il male non è una realtà, ma il congedarsi della volontà umana da Dio. È questo che vuole dire?
"Dio ha voluto creare l'uomo libero. Il male si manifesta nel momento in cui l'uomo abusa della sua libertà. Dio non può eliminare il male dal mondo perché ha voluto l'uomo libero e, nonostante tutto, ha fiducia nell'uomo libero".
La storia non ci ha mai insegnato nulla?
"Purtroppo la storia sembra essere l'unica maestra che non ha scolari. Nel contesto della violenza è possibile ogni perversione. Allora ci si deve domandare: l'uomo è ancora uomo?" .
Ma se ci sono uomini che uccidono in nome di Dio si può obiettare che Dio è buono ma non onnipotente, altrimenti fermerebbe la loro mano.
"Non si uccide in nome di Dio. I fondamentalismi sono una distorsione del senso stesso della religione che, al contrario, ha nel suo Dna la spinta verso la pace. Vorrei ricordare il comandamento "Non nominare il nome di Dio invano". I fondamentalismi sono in evidente contraddizione con questo comandamento. È del tutto ingiustificato usare Dio come arma, a nessuno è lecito tirare in ballo Dio come colui che autorizza le guerre. I fondamentalismi di ogni genere vanno decisamente superati. Cominciamo a isolarli".
Quali sono i confini della pace?
"La pace ha un prezzo. Si paga con un uso responsabile della libertà. La pace è il risultato dell'impegno per la giustizia, la verità, la libertà e la solidarietà. Sono quelli che Giovanni XXIII chiamava nella Pacem in terris i pilastri della pace. In particolare la libertà dovrebbe essere una co-libertà, un bene da dividere con il prossimo. Invece oggi si reclama il diritto a una libertà individualistica, spesso addirittura egoistica. Una libertà irresponsabile".
Qual è la differenza tra la pace e il pacifismo?
"Gli "ismi" sono sempre pericolosi. Credo nella pace, ma non nel pacifismo perché esso dà un'idea di pace astratta, chiusa in se stessa e senza precise condizioni. Anche la pace, invece, deve avere i suoi confini" .
Il tema dell'incontro di settembre è "Il coraggio di un nuovo umanesimo". Perché è stato scelto questo titolo?
"Perché bisogna davvero tornare a domandarsi che cos'è l'uomo. Intorno a questo interrogativo così nevralgico le religioni si incontrano e sottolineano l'intrinseca apertura dell'uomo come tale al trascendente. È vero, viviamo in un momento storico in cui è molto forte il secolarismo, ma la religiosità è connessa all'uomo, non può essere esiliata nella propria coscienza o in qualche rituale privato. Deve tornare a costituire un importante valore sociale" .
Le chiese sono sempre più vuote, nonostante si stia riaffermando il desiderio di maggiore spiritualità.
"Non si può negare che esista l'indifferenza religiosa. Eppure, mi creda, c'è anche una vivacità religiosa oggi più convinta rispetto al passato. Certo, in ognuno c'è un po' di fede e un po' di incredulità, un miscuglio di sì e di no. Per questo sento fortissimo il bisogno di chiedere ai cristiani di ritrovare la freschezza e la bellezza della propria fede. Il rilancio missionario non è inteso come una riconquista territoriale, piuttosto come l'esigenza di riscoprire i valori più belli della fede, portatori di genuina felicità" .
Una fede e una Chiesa con tanti no, questo non può negarlo: su famiglia, amore, procreazione, medicina, scienza. Una Chiesa che dà l'impressione di non sapere accogliere la modernità che la circonda.
"Guardi, la parola centrale della fede è "Vangelo" che significa "buona notizia". A volte la Chiesa deve dire dei no, ma li dice in funzione di un sì più grande. La Chiesa segue la storia dell'uomo e vi partecipa pienamente, in questo senso è moderna. Anche rispetto alla scienza la Chiesa dice un grosso sì ricordando, a partire dalle prime pagine della Bibbia, la consegna di Dio agli uomini: dominate la terra. Ma la Chiesa deve dire un sì ancora più grosso all'uomo. Non spetta alla scienza dominare l'uomo né stabilire quale sia il significato ultimo della sua vita".
Parlando di modernità torniamo all'incrociarsi di culture, di popoli, di religioni. La Curia di Milano non ha detto una parola sulle polemiche per la "classe del chador" bocciata dal ministro Moratti dopo le proteste del centrodestra. Può parlare lei adesso?
"Il dibattito intorno al progetto della classe islamica in una scuola pubblica è stata una forte opportunità per fare emergere una necessità inderogabile. Siamo di fronte a un'occasione da non perdere per riflettere seriamente sul problema dell'integrazione. Sono contrario agli interventi puramente emotivi e ritengo indebita la confessionalizzazione del caso. La sfida da affrontare è quella dell'integrazione e il laboratorio migliore è costituito proprio dalla scuola, luogo culturale e di formazione per eccellenza. La scuola di uno Stato laico moderno deve saper riconoscere e far entrare in dialogo le identità religiose e culturali di tutti".
Due anni a Milano. Che città ha incontrato?
"Milano è una grande città moderna che vive le tipiche contraddizioni della modernità. Vi sono vette di ricchezza e abissi di povertà. Di fronte a diseguaglianze economiche e sociali sempre più evidenti, servono uno sguardo e un impegno attenti all'intera realtà, affinché si proceda verso una sempre maggiore armonia e solidarietà. Le istituzioni devono trovare la loro dignità nel servire le persone, nel promuovere il bene comune con una privilegiata attenzione ai bisognosi, agli emarginati, ai più soli" .
Cardinale Tettamanzi, lei è favorevole alla ricostituzione di un autentico partito cristiano nella politica italiana?
"Guardi, non mi preoccupa affatto l'assenza di un partito cattolico, mi preoccupa invece, e molto, l'eventuale assenza dei valori cristiani nei cattolici che fanno politica. Si deve essere più attenti alla sostanza che alla forma, come già aveva chiaramente sottolineato il convegno ecclesiale di Palermo del 1995" .
Da dove arriverà il successore di Papa Wojtyla?
"A questa domanda può rispondere solo lo Spirito Santo".


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