Repubblica: Talento e merito, questi fantasmi
Salvatore Settis
Solo così, mettendo a fuoco valori e buone pratiche e diffondendole nel mondo grazie a una società in espansione, potremo meritarci la qualità della vita che desideriamo per noi stessi.
Il traguardo della "strategia di Lisbona" avviata nel marzo 2000 è di fare dell´Unione europea l´economia più dinamica e più competitiva del mondo, perché basata sulla conoscenza. È sempre più improbabile che ci riusciremo, come allora si progettò, entro il 2010: ma è sempre più necessario farlo, e prestissimo. Se siamo indietro (se, in particolare, il contributo italiano non è stato finora brillante) è per scarsezza di finanziamenti, ma non solo. L´ostacolo più pesante è l´insufficiente riconoscimento del talento e del merito, che nel nostro Paese è a rischio per il pesante equivoco, di un populismo un po´ sgangherato, secondo cui la "meritocrazia", o l´individuazione e la promozione di élites, sarebbero "di destra". Nulla di più stolto. Il talento è una risorsa che per sua natura è distribuita equamente a prescindere dall´età, dal sesso, dal luogo o dalla famiglia d´origine. Non c´è nulla di più democratico della meritocrazia: cioè di un sistema che riesca a scovare il talento dove c´è, a premiarlo e a promuoverlo: perché è dal talento congiunto col merito (cioè con la capacità di accumulare e confrontare saperi, di riflettere criticamente, di produrre innovazione) che nasce quella conoscenza dinamica dei problemi della natura, della scienza e della società che produce sviluppo, genera occupazione, fonda e sostiene l´iniziativa e la leadership sui grandi problemi del futuro.
Lo riconosce la Costituzione, quando afferma (articolo 34) che «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi»; articolo, questo, che va letto in sintonia con l´articolo 3, secondo il quale la Repubblica garantisce «il pieno sviluppo della persona umana» rimuovendo «gli ostacoli di ordine economico e sociale». Viceversa, serpeggia ancora in Italia una "meritofobia" suicida e senza futuro: quasi che promuovere il merito voglia dire perpetuare i privilegi delle classi dirigenti, e non sia, al contrario, lo snodo essenziale per rinnovare le classi dirigenti. Promozioni in base all´anzianità, meccanismi di ope legis mascherati da lotta al precariato, furberie accademiche intese a privilegiare non i migliori ma i locali: queste e altre pestilenze affliggono il mondo della ricerca e dell´università in Italia. La sola ricetta per sconfiggerle è puntare esclusivamente sul talento, sulla qualità degli studi, sul merito più alto e più garantito secondo standard internazionali. Promuovere il merito dei migliori non è affatto incoerente con la difesa del diritto allo studio per tutti, ma la generalizzazione del diritto allo studio universitario non deve comportare appiattimento della qualità; al contrario, le punte d´eccellenza devono essere promosse anche perché fanno da traino all´intero sistema.
Scuole come la Normale di Parigi e la Normale di Pisa, che hanno nel proprio codice genetico l´individuazione del talento e la sua coltivazione mediante l´alta qualità degli studi, sono (è vero), incubatori delle élites del futuro: ma questa meritocrazia è essenziale alla democrazia, garantisce il progresso della società, assicura lo sviluppo basato sulla conoscenza e sull´innovazione, in Italia e in Europa. Ma i normaliens di Parigi hanno riconoscimenti ufficiali, sanciti dallo Stato, ben più chiari e netti dei normalisti di Pisa: nel contesto di un´Europa che cresce, che dà alla competizione delle conoscenze un ruolo tanto grande nel disegnare l´agenda del futuro, non sarebbe ora di porre rimedio a questa differenza? Non sarebbe ora di produrre un provvedimento di sistema sulle Scuole "d´eccellenza" italiane, a cominciare dalla Normale che è di gran lunga la più antica (farà duecento anni nel 2010)?