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Repubblica-Signor ministro non dimezzi le ore d'inglese

Signor ministro non dimezzi le ore d'inglese STEFANO BARTEZZAGHI RITORNARE sulla favola delle tre I sembra quasi stucchevole. Internet, Inglese, Impresa? Non ci ha mai creduto nessuno. Ma a part...

19/05/2004
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la Repubblica

Signor ministro non dimezzi le ore d'inglese
STEFANO BARTEZZAGHI
RITORNARE sulla favola delle tre I sembra quasi stucchevole. Internet, Inglese, Impresa? Non ci ha mai creduto nessuno. Ma a parte Internet e impresa ? che non sono materie ma strumenti ? quello dell'insegnamento dell'inglese è un problema che qualsiasi scuola deve affrontare e, se può, risolvere.
La scuola morattiana, che della bandiera dell'inglese si è pure così platealmente fregiata, in pratica si accinge a tagliarne le ore di insegnamento. Nelle scuole medie inferiori si avranno 54 ore di insegnamento per tutti, mentre prima della riforma erano 132 per il tempo prolungato e 99 per il tempo normale. Ci si immagina quanti passi avanti faranno gli studenti, oltre ai classici gradini di "what's your name?" e "the pen is on the table". Come già accaduto con Darwin, ora un appello di docenti e genitori chiede alla Moratti di tornare indietro.
La modernità, l'innovazione, la programmazione, l'aggiornamento costano: ed è un fatto che l'insegnamento scolastico della lingua inglese è sempre stato insufficiente. Il problema è qualitativo, prima che quantitativo: ma la riduzione delle ore di insegnamento non può che andare in senso opposto al desiderabile. La didattica dell'inglese in un mondo ideale dovrebbe passare da insegnanti madrelingua, laboratori, soggiorni, gruppi di studio ristretti.
Lussi favolosi e inimmaginabili per la scuola, che a partire dalle aule e arrivare al personale docente, non ha le risorse necessarie per formare studenti che abbiano davvero un buon grado di conoscenza di una lingua straniera difficile come di fatto risulta l'inglese.
Ma se il nostro mondo e il nostro tempo hanno prodotto una penetrazione della lingua inglese enormemente superiore a quella di pochissimi decenni fa la scuola stessa se ne potrebbe avvantaggiare. Pensiamo a strumenti come i film sottotitolati su dvd, in cui oltretutto si possono sentire finalmente parole, pronunce e intonazioni originali dei film anglofoni. Pensiamo alle canzoni, ai modi di dire importati, ai programmi di televisioni satellitari. Mentre l'insegnante di inglese un tempo era solo, in compagnia della propria laurea e di qualche libro in edizione Penguin, ora l'inglese è già almeno in parte patrimonio degli studenti, che fuori dalla scuola lo incontrano nelle istruzioni del dvd, nel gergo di dj e vj, nelle battute magari un po' stentate che i genitori rivolgono durante le vacanze all'estero - vacanze che non sono più retaggio di poche famiglie benestanti ed eccentricamente cosmopolite.... Se la domanda di inglese è cresciuta (e infatti le promesse elettorali tengono conto di questa tendenza) non è, insomma, un caso: è che si sono effettivamente moltiplicate le occasioni di contatto con la lingua, magari in una sua versione goffa e basic. Essere meno inermi di fronte a un sito Internet, alla richiesta di un'informazione, a un notiziario della Cnn, a un giornale trovato in aereo, a una canzone. La domanda è questa: ed è abbastanza semplice.
Come interpretare la risposta che arriva a questa domanda? Il dubbio non è un bel dubbio. Come nel caso delle altre due I, il territorio dell'inglese è uno di quelli di fronte ai quali la scuola non avanza ma si ritrae: ti lascio libero di impararlo fuori di qui. La prima cosa che uno studente italiano impara quando arriva in un ambiente anglofono è che la scuola non gli ha dato quasi niente, così come non ha fornito alcuno strumento utile per quando naviga su Internet, o per quando entra in un'azienda e gli viene istantaneamente comunicato che tutto quello che ha imparato prima è inservibile. L'inglese potrebbe insomma essere visto come una sorta di protocollo fondamentalmente extrascolastico, una zona colonizzata da pionieri, che non conosce ancora istituzioni e in cui vigono regole che hanno poco a che vedere con il funzionamento della didattica ordinaria. La diminuzione di ore sarebbe allora il segno certo di un'abdicazione.
Non è un bel sospetto. Ma davvero non si sa altrimenti cosa pensare di una riforma che dimezza (o peggio) le ore di insegnamento di una materia che ha dichiarato fondamentale. Non può essere una svista. Non è un tentativo sciagurato di protezionismo dell'italiano nei confronti della lingua della globalizzazione. Non indica vie didattiche e soluzioni alternative, anche se implicitamente invita a rivolgersi al mercato delle scuole linguistiche private. Ma siamo davvero così sicuri che la scuola italiana pubblica non possa offrire una competenza dell'inglese più dignitosa e aggiornata?


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