Repubblica: Si diffonde nelle scuole americane l´uso della valutazione alimentare degli studenti
In pagella il voto di obesità
MICHELE SERRA
AVANGUARDIA dello Stato etico, ecco s´avanza lo Stato dietetico. Negli Usa diverse scuole, tra le informazioni d´ufficio alle famiglie, distribuiscono una specie di "pagellina alimentare" nella quale si valuta (severamente) il rapporto tra peso e massa corporea del ragazzo, o del bambino. La notizia si somma a quella, recente, relativa ai provvedimenti del governo Zapatero contro la pubblicità degli hamburger extra-large.
RIENTRA nel quadro della lotta all´obesità minorile, piaga occidentale tra le più inquietanti, metafora incarnata del proliferare incontrollato degli stimoli ai consumi.
Naturalmente l´intromissione delle autorità pubbliche nella sfera privata è destinata a sollevare dubbi e malumori: pare che molte famiglie americane non gradiscano lo stress aggiuntivo che questa nuova "materia scolastica" induce nei figli, ufficialmente bollati dello status di ciccione. A sconsigliare frettolose stroncature dell´iniziativa, o peggio la sua riduzione a deriva folkloristica del politicamente corretto, c´è però la macroscopica evidenza del problema. Autorità indifferenti alla salute pubblica sarebbero certamente meno petulanti e meno intrusive. Ma la non-ingerenza costituirebbe una vera e propria omissione a fronte di statistiche spietate, che indicano nell´obesità di massa, a parte i disagi fisici e psicologici contingenti, una sicura causa di accorciamento della prospettiva di vita: nonostante il benessere (anzi, per paradosso: a causa del benessere) la vita media degli americani del futuro rischia seriamente di essere più breve rispetto a quella dei loro genitori.
Viene da chiedersi, piuttosto, se e quanto iniziative di carattere informativo e dissuasivo, come questa, riescano a incidere su una cultura sociale che semplicemente non contempla, in nessun campo, i concetti di giusta misura e di limitatezza. La corsa alla quantità, in economia, nei consumi privati, nelle ambizioni di carriera, in tutto (se vogliamo anche nell´espansionismo politico-militare…) è il vero motore del Pensiero Unico.
Alla fame atavica si è via via sostituita, nelle società del benessere, una specie di fame indotta che induce a consumi compulsivi, di cibo come di psicofarmaci, di cibo come di droghe, di cibo come di televisione, di cibo come di sesso. Va da sé che il cibo, per la sua stessa basicità, e per non essere oggetto di particolari tabù o riprovazione sociale, e infine per via del basso prezzo, è di gran lunga il primo, il più facile e il più accessibile tra gli oggetti del desiderio compulsivo. E il corpo deformato, riempito oltre ogni misura e oltre ogni controllo, diventa il segnale più evidente e drammatico della disarmonia patologica di modelli sociali che paiono avere smarrito l´obiettivo stesso del loro innesco, che è o dovrebbe essere la ricerca del benessere.
Un benessere che diventa malessere, per via di inquinamento, di dissesto ambientale, di bulimia, di affanno psicologico. Scatenando poi contraccolpi moralistici (vedi il grottesco movimento dei "rinverginati" che pare attragga molti adolescenti americani), innescando astinenze, digiuni, auto-castrazioni speculari alla crapula contro la quale reagiscono. In una continua altalena tra ingordigia e susseguente senso di colpa. Probabilmente né negli Stati Uniti, né altrove, esistono (per adesso) parametri culturali abbastanza reattivi da mettere in discussione la disarmonia costitutiva del mondo dei consumi, quel sentimento di sazietà irraggiungibile, di appagamento impossibile, che muove gli stomaci e i cervelli occidentali senza più alcun nesso logico con i bisogni reali. L´allarme del giudizioso corpo insegnante americano (che sarà a sua volta, presumibilmente, un corpo obeso…) può essere così inteso almeno in due maniere: come un lamento tardivo, ormai impotente a rimettere a regime meccanismi sociali totalmente fuori fase, oppure come uno dei primi vagiti, ancora goffi, ancora rudimentali, di un linguaggio che sta nascendo, un linguaggio critico, un linguaggio soccorrevole che prova, lentamente, ad affiancarsi e forse un giorno (speriamo) a sostituirsi alla lingua trionfante, pervasiva, incontrastata della pubblicità.