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Repubblica-SE SI GOVERNA CON I DIKTAT

SE SI GOVERNA CON I DIKTAT GIOVANNI VALENTINI Una riforma, qualsiasi riforma degna di questo nome concepita "per" risolvere i problemi di un settore sociale e soddisfare le esigenze di un...

26/10/2005
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la Repubblica

SE SI GOVERNA CON I DIKTAT
GIOVANNI VALENTINI
Una riforma, qualsiasi riforma degna di questo nome concepita "per" risolvere i problemi di un settore sociale e soddisfare le esigenze di una parte della collettività, dovrebbe essere esaminata, discussa e magari condivisa con i soggetti più direttamente interessati. A maggior ragione, una riforma della scuola o dell'università, due mondi delicati e complessi animati da componenti diverse, ognuna con le proprie ragioni e le proprie aspettative. Le riforme del ministro Letizia Moratti, invece, sembrano concepite "contro" la scuola e "contro" l'università, se è vero che i rispettivi progetti sono riusciti a mobilitare in un colpo solo gli studenti, i ricercatori, i docenti e perfino i signori presidi.

Una grande questione politica, decisiva per il futuro del Paese, s'è trasformata così in un'emergenza di ordine pubblico, con tutti gli equivoci e le contraddizioni che questo fatalmente comporta. Non c'è bisogno di ribadire, ancora una volta, che - a Roma, a Bologna o dovunque - la legittima protesta di piazza non deve mai superare il confine della legalità, per non offrire il fianco alle provocazioni e alle strumentalizzazioni, ma soprattutto per non degenerare nella violenza. Sta di fatto però che in questo caso una manifestazione pacifica, come il sit-in organizzato da tutte le componenti dell'università davanti alla Camera, ha dato luogo alle reazioni scomposte di alcuni parlamentari del centrodestra e quindi a due cariche della polizia che hanno coinvolto anche un operatore televisivo e una giornalista.
Se il malumore diffuso nel mondo universitario è arrivato fino a questo punto, ciò si deve in primo luogo a un'esasperazione che ormai covava sotto le ceneri da molto tempo. E bisogna riconoscerlo, fin dall'epoca della riforma Berlinguer, varata dal centrosinistra nella scorsa legislatura all'insegna della confusione e della precarietà. Ma a far traboccare il vaso dell'insoddisfazione è stato certamente l'approccio per così dire manageriale della signora Moratti, quasi un'imposizione, un diktat governativo, ulteriormente affrettato - a quanto pare - dalla volontà di archiviare rapidamente la pratica per rendere disponibile la propria candidatura a sindaco di Milano.
Gli interessi elettorali del ministro e del centrodestra tendono dunque a prevalere su quelli più generali della scuola, dell'università e dell'intera società italiana, in una logica distorta che - come già per la giustizia e per la televisione - privilegia i calcoli, le convenienze e gli opportunismi di parte. Quando perfino la voglia impellente di un gelato, tanto irresistibile da indurre l'onorevole Gustavo Selva a sfidare il presidio dei manifestanti o a forzare il cordone della polizia, prevarica sul buon senso, sulla misura e sulla prudenza, vuol dire che il confronto ha lasciato campo aperto alla contrapposizione. E se una signora della maggioranza si abbandona sul portone di Montecitorio a un gesto assai poco signorile, da stadio di calcio o addirittura da trivio, significa che l'intolleranza è arrivata a mortificare la ragione. Anche la riforma universitaria rischia allora di ridursi a un pretesto per imporre quella "dittatura della maggioranza" di cui la Casa delle libertà ha dato ampia prova nella legislatura che (finalmente) volge al termine.
Nel merito del provvedimento, il fronte universitario contesta in particolare il mancato riconoscimento del ruolo dei ricercatori e l'assenza di un progetto per i giovani che non potranno entrare nei ruoli se non in età avanzata, incentivando perciò la fuga dei cervelli all'estero. Ma francamente non è tanto questo ciò che più conta. La verità è che, senza ignorare le responsabilità pregresse, il centrodestra ha inteso assoggettare anche la scuola e l'università a una visione aziendale della società, subordinata all'efficienza e al profitto, priva di un orizzonte culturale e formativo.
Ancora più grave però è il fatto che la politica, questa politica miope e avara, tutta impegnata a difendere e rafforzare il proprio potere, abbia trasmesso alle nuove generazioni un senso profondo d'insicurezza, di precarietà, di smarrimento e d'incertezza sul futuro. Un'instabilità psicologica minaccia oggi la vita nazionale più di qualsiasi altro fattore economico o sociale, alimentando una pericolosa conflittualità fra padri e figli, fra garantiti e meno garantiti.
Il luogo istituzionalmente deputato all'istruzione, e quindi alla crescita e all'emancipazione individuale, rischia di diventare piuttosto il luogo dello scontro, della rabbia e della rivendicazione contro gli adulti che hanno già il posto di lavoro, uno stipendio e una pensione più o meno assicurata. E' una responsabilità morale di cui tutti, maggioranza e opposizione, dovranno rispondere "pro quota" di fronte al corpo elettorale e alla collettività. Al fondo, questa protesta di piazza rivela una mobilitazione civile. La politica, se ne è capace, può cercare d'interpretarla e magari di governarla.


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