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Repubblica: Scuola, il partito dei genitori-avvocati

Brutti voti ai figli, la promozione si cerca per via giudiziaria

21/03/2007
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la Repubblica

La Cgil di Bergamo: "A molti riusciamo a spiegare che quella strada non aiuta i ragazzi"
Nei Tribunali amministrativi di tutta Italia è record di ricorsi contro le bocciature
Veronica è stata respinta tre volte. La madre Maria Teresa: "Non hanno saputo ascoltarla"
A Trento uno psicologo ha riconosciuto una studentessa sofferente di "blocco psicologico da matematica"

MICHELE SMARGIASSI

ROMA - «E io boccio la scuola». Con sofferenza. Ma senza esami di riparazione. Sul giornale di Velletri, titolo a tre colonne, Maria Teresa boccia la scuola che ha difeso per decenni con manifestazioni, appelli, raccolte di firme. Boccia la scuola che ha bocciato per tre volte sua figlia Veronica «perché non l´ha capita, non l´ha ascoltata, non l´ha aiutata». Maria Teresa è una mamma di quelle che la scuola «vede come sabbia negli occhi», perché «discuto, voglio sapere, voglio capire cosa succede in classe. Non sono una mamma da libro Cuore, di quelle che si presentavano alle maestrine dalla penna rossa col capo chino e il cappello in mano. Io ho letto don Milani». Fra poche settimane saranno quarant´anni dalla Lettera a una professoressa, libro nato proprio da una bocciatura bocciata. Per Pasolini fu «l´unico atto davvero rivoluzionario di questi anni». Non aveva torto. Quel libro, con molte altre cose, distrusse l´ottocentesco patto generazionale tra professori e genitori. Patto diseguale, dove i secondi, fossero pure ricchi borghesi, dovevano affidare i figli ai primi con l´umiltà della madre di Franti: «Prenda questo delinquente, la supplico». Sacrosanta rottura, insomma. Ma quale nuovo patto educativo tra adulti sostituì quello vecchio e logoro? Nessun patto. Se non quello, sempre diseguale, ma rovesciato, che lega un cliente a un fornitore di servizi.
«Io però al dialogo alla pari ci credevo». Maria Teresa Pellegrini Raho, architetto, pittrice, scrittrice, serve tè e biscottini dietetici nella sua bella casa in collina a Lariano. Era una mamma democratica e partecipativa. Quindici anni di conflitti con maestri e professori l´hanno piegata. «Dopo la terza bocciatura ho iscritto Veronica a una scuola privata. Dicendomi: ce l´hanno fatta a mettermi contro le mie idee». Il suo racconto è una successione di incontri sbagliati, personaggi improbabili, impatti rovinosi: la tata di scuola materna impaurita, «sua figlia mi guarda come se mi giudicasse», la maestra elementare col vizio delle punizioni umilianti, la prof delle medie scansafatiche, quella delle superiori isterica; costante: «Nessuno capiva Veronica. Ci sono ragazzi che hanno capacità che la scuola non sa valutare, Veronica a casa non era la stessa Veronica che leggevo nei giudizi di fine anno».
È quel che la presidente dei Genitori democratici Angela Nava si sente ripetere decine se non centinaia di volte ogni anno, verso giugno, «quando nei nostri uffici c´è più fila che a una processione di Padre Pio». Code di genitori infuriati con le pagelle dei figli strette in pugno, «Voglio fare ricorso, come si fa?». Spiega: «La generazione dei genitori quarantenni è fragilissima. Hanno figli che sembrano saperla più lunga di loro, navigano su Internet, sanno usare i telefonini meglio di loro, sembrano dei fenomeni, e quando portano a casa un quattro i genitori saltano su: ma come? Ma è un genio!». Basterebbe parlarsi, genitori e insegnanti, o no? «È mai andato a un ricevimento? In quei pomeriggi quando la scuola sembra la stazione di Bombay e i prof chiedono ‘Scusi ha una foto di suo figlio? Sa, ho nove classi...´». C´erano gli organi collegiali, per avvicinare casa e scuola. «C´erano. Sono più che morti, sono putrefatti».
Maria Teresa era rappresentante di classe. «Eletta con un voto solo: il mio. Ero sempre l´unica partecipante all´assemblea. Ma per gli insegnanti era meglio così: venti rompiscatole in meno». Davanti alla terza e ultima bocciatura, anche lei ha chiesto i verbali in segreteria. «Non erano poi un disastro, i temi erano bellissimi. Volevo fare ricorso al Tar, come tanti. Ho capito che avrei fatto altri danni a mia figlia, e mi sono arresa». Altri no, percorrono fino in fondo la via giudiziaria alla promozione. Quanti? Neppure il Consiglio di Stato ha cifre precise, ma per farsi un´idea della progressione basta una ricerca a campione sul sito Internet della giustizia amministrativa, e capisci che ha ragione il presidente del Tar del Lazio Pasquale De Lise quando giudica il fenomeno «patologico». Selezionando le pratiche che hanno come parte in causa un «consiglio di classe» escono 108 sentenze per il 2006. Nel 1998 erano solo quattro.
A Bergamo la Cgil Scuola gestisce un efficiente "sportello genitori", assediato anche quello dalle "mamme contro". «Riusciamo a farne ragionare la maggioranza», dice Franca Longoni, «a spiegare che una promozione per via giudiziaria non aiuterà i loro ragazzi, al contrario. Ma molte vanno avanti lo stesso». Come se lo spiega? «Oggi le famiglie riconoscono alla scuola il pieno diritto di socializzare i loro figli, ma le negano del tutto il diritto di giudicarli».
«Ma io non ho mai contestato i contenuti educativi, e neppure il diritto di valutare», si schermisce Maria Teresa, «io contesto la mancanza di capacità di ascolto, la distrazione, la noia degli insegnanti, un deserto di relazioni che ho visto crescere tumultuosamente». Deserto di relazioni è espressione azzeccata. Ma vale in entrambe le direzioni. Basta sfogliarne un po´, di quei ricorsi, leggerne la prosa secca e astiosa, sicuramente incentivata dal gergo dell´avvocato, ma che lascia trasparire un universo di incomprensione, se non di disprezzo, per il lavoro della scuola: «abuso di potere», «manifesta illogicità», «ostilità pregiudiziale». Nei racconti dei ricorrenti, la scuola è una controparte prevenuta, il consiglio di classe un tribunale spietato. Contro cui si sparano raffiche di stringente logica matematica: «era 6 e mezzo, non 6 più, quindi la media era più alta». A qualche collegio giudicante cascano le braccia: «È temeraria», lascia filtrare l´irritazione la sentenza di un giudice di Bari, «la pretesa di ottenere iussu judicis la promozione di una studentessa con due 3 e sei 4 in pagella». Ma se i voti non lasciano spiragli, qualsiasi altro appiglio può servire. A Trento la perizia di uno psicologo ha ottenuto la promozione d´ufficio di una studentessa sofferente di «blocco psicologico da matematica». A Borgomanero i genitori hanno cronometrato il consiglio di classe: «2 minuti e 38 secondi per giudicare nostro figlio sono troppo pochi». Del resto, la scuola somiglia a una gara che nessuno vuole perdere. Oppure a una naja che fa perdere tempo per la corsa della vita: una famiglia di Cagliari ha chiesto al giudice un risarcimento di 18 mila euro, pari a un anno di stipendio («dipendente pubblico categoria C») per l´anno lavorativo perduto della figlia bocciata. La maggioranza dei ricorsi, è vero, viene respinta. Ma chi vince, cosa vince? Il giudice barese di poc´anzi, ormai esasperato, si è permesso una ramanzina scritta e protocollata: «Genitori preoccupati del bene dei loro figli dovrebbero rimettersi al giudizio responsabile del corpo insegnante, rifuggendo da iniziative giudiziarie che spesso trovano ispirazione nell´orgoglio ferito dei genitori».
I genitori-avvocati sono una minoranza, è vero. E ci sono perfino esempi in controtendenza, come la coppia milanese che due anni fa ricorse al Tar contro la promozione (con tre debiti) della figlia: «anche lei ha il diritto di essere bocciata». Ma in fondo pure questo è un certificato di morte del patto educativo: sono sempre genitori che rivendicano di saperne di più della scuola. Una visione del mondo che ha un nome: si chiama «primato educativo della famiglia», bandiera sventolata soprattutto dalle famiglie cattoliche. Ma Maurizio Salvi, presidente dell´Age, rimanda al mittente l´accusa di soffiare sul fuoco del conflitto: «Casomai è la scuola che respinge i genitori, non li ascolta, prende in consegna i ragazzi come se pensasse ‘adesso vattene che è affar mio´. Gli insegnanti sono protetti dai sindacati, dai collegi docenti: i genitori sono soli. Ricorrere al giudice è sbagliato, ma spesso appare l´unica strada».
Maria Teresa non vuole essere il simbolo del genitore contro: ma i colleghi esasperati li capisce. «La scuola è stanca, sfibrata, non riesce più neppure a sopportare chi non è dentro gli standard. Chi ha figli bravi questo non lo comprende. Io sognavo una scuola che ha una parola per tutti e dà la parola a tutti, mi sono ritrovata mio malgrado arruolata in una guerra, e nella guerra non si parla, si spara. Così, amaramente, ho detto addio alle armi».


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