Repubblica-Scuola, il confine tra teppismo e bravate
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Scuola, il confine tra teppismo e bravate
CORRADO AUGIAS
G entile Augias, durante una vacanza studio in un college inglese con le mie compagne, una notte decidemmo di chiudere dall'esterno con corde e colla le camere dei professori per impedirgli di svegliarci, come avveniva ogni mattina, alle sette, al grido di "Seven o' clock! Ready for breakfast!". L'indomani dormimmo fino alle undici incuranti di quello che avveniva all'esterno. Al nostro risveglio ci beccammo una sonora paternale e ci venne chiesto di fare i nomi dei colpevoli, pena il rientro anticipato in Italia con conto da pagare all'inizio del nuovo anno scolastico. Nessuno parlò, finimmo la nostra vacanza studio e a ottobre la "bravata adolescenziale" era caduta nel dimenticatoio!
Correva l'anno 1976, avevo quindici anni. Ora mi chiedo, e se i nostri professori si fossero fatti prendere dal panico, murati nelle loro stanze, e avessero provato a calarsi da una finestra facendosi male? Ci avrebbero definito "criminali" al nostro rientro in Italia?
Ricordo l'episodio perché mi ha stupito l'accanimento con il quale certi professori del Parini si sono scagliati contro quei ragazzi. Possibile che dall'alto del loro sapere non sappiano insegnare indulgenza e tolleranza nei confronti degli errori altrui? In fondo la loro vera punizione sarà il rientro in classe, che non sarà facile, per il peso che ha assunto quella che doveva e poteva essere una "bravata adolescenziale".
E alle spese da pagare ci penserà la magistratura!
Olivia La Pegna
oliva.lp@libero.it
I l gesto compiuto e il danno provocato sono stati gravi, minimizzare non aiuta nessuno, nemmeno i responsabili. Sarebbe un errore liquidare tutto con un sorriso e una pacca sulle spalle. La mia opinione è che la decisione presa dopo accese discussioni sia stata proporzionata alla gravità dei fatti.
Mentre arrivava questa lettera leggevo l'impressionante inchiesta di Giuseppe D'Avanzo sui ragazzi perduti di Napoli ( Repubblica , 11 novembre, pag. 17). Tutti giustamente deprecano i gesti di violenza che quegli adolescenti commettono. Ma se mettiamo a confronto il disfacimento di certi quartieri napoletani con la condizione dei cinque ragazzi milanesi figli della borghesia, allievi di una scuola prestigiosa, che non hanno bisogno di fare scippi per avere un motorino o un cellulare, chi è più meritevole di biasimo? O, rovesciando l'ottica, di comprensione?
La signora La Pegna parla di "bravate". Ma le "bravate" non provocano lesioni o danneggiamenti. Se finiscono in un disastro non è più il Giornalino di Giamburrasca, è teppismo, e come tale va trattato.
Trattandosi di così giovani vite bisogna però considerare anche un altro aspetto. Lo riassume bene Freud in un saggio del 1910 dove scrive: "La Scuola non deve dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppur sgradevoli, dello sviluppo. Essa non si deve assumere la prerogativa di inesorabilità, propria della vita".
Questo è esattamente ciò che anche oggi la scuola deve fare: operare per il recupero di questi ragazzi con tutti gli strumenti che la pedagogia, ma anche l'esperienza o il senso comune, mettono a disposizione. Rispetto ai giovani derelitti di alcuni quartieri di Napoli non dovrebbe nemmeno essere un'impresa troppo difficile.