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Repubblica: Scherzi, battute, isolamento il mobbing è tra i banchi

Insegnanti e pedagoghi: "Può diventarne vittima chiunque sia visto come diverso"

02/11/2007
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la Repubblica

MARINA CAVALLIERI

ROMA - Può cominciare tutto con una battuta, uno scherzo. Il pretesto può essere occasionale ma le conseguenze poi diventare infinite, dalla presa in giro si arriva alla persecuzione, dallo scherno si passa ad una guerra sottile. È una violenza sommersa, una situazione diffusa. In gergo si chiama «mobbing scolastico», è il tentativo da parte del gruppo di escludere o umiliare qualcuno percepito come capro espiatorio. Vittime possono essere i più bravi, quelli con problemi relazionali, o chi per qualche motivo è diverso, magari perché balbetta oppure perché non indossa le scarpe "giuste". «Siamo i genitori di S., una ragazza di 11 anni e di E., di 14 che frequentano la scuola media. Ci consideriamo fortunati rispetto altri genitori che hanno perso un figlio a causa del disagio subito in ambito scolastico. Infatti quando abbiamo trovato per caso una lettera di E. nelle quale minacciava il suicidio per quello che stava subendo abbiamo preferito farle cambiare subito scuola». Questa è solo una parte di una lunga lettera che si trova in uno dei tanti siti dove si confrontano esperienze di violenza a scuola, di mobbing in età evolutiva. Perché il ragazzo di Ischia non era solo.
«Sono episodi che in forma più sfumata capita di vedere. Noi professori cerchiamo di intervenire, cominciamo dalle cose più semplici come cambiare i ragazzi di posto fino a parlarne con le famiglie», racconta Lucia Mosca, insegnante in una scuola media di Ostia, «una situazione abbastanza tranquilla», dopo tanti anni passati in un istituto di frontiera. «Un tempo la scuola aveva qualche strumento in più per combattere queste situazioni, c´è stato in questi anni troppo pietismo, troppo giustificazionismo, bisognerebbe sottolineare di più le responsabilità individuali. La comprensione è necessaria ma occorre mandare un messaggio chiaro: certe cose non si fanno altrimenti si dà adito agli altri di fare lo stesso». Bullismo, mobbing, termini nuovi per definire un disagio antico che oggi però si fa più fatica a comprendere, soprattutto a circoscrivere. «La maggiore difficoltà di relazione per i ragazzi è tra i 14 e i 17 anni», dice Lucia Baglio, insegnante in un istituto professionale di Roma. «I professori dovrebbero fare di tutto ma non sempre ci riescono, i ragazzi non accettano l´intervento dell´adulto». Così accadono fatti difficili da controllare, così si va alla deriva «anche perché i ragazzi oggi sono molto meno motivati di un tempo, non hanno interessi che condividono in maniera forte che li tengano uniti, vanno avanti su schemi e modelli che gli vengono indotti ed è difficile trovare qualcosa che li coinvolga». Mobbing tra i banchi, microstorie che si somigliano, che si dimenticano, poi capita a qualcuno forse più fragile e allora qualcosa esplode. «I professori però dovrebbero preoccuparsi di più di quello che accade in classe, occuparsi anche delle relazioni tra studenti, non solo dell´insegnamento del programma. E se non è possibile ci dovrebbe essere uno psicologo a scuola», dice Anna Oliverio Ferraris, psicologa. «È compito di qualunque adulto che svolge un´attività educativa, se in famiglia si è accettati per quelli che si è, a scuola bisogna invece imparare a vivere con i diversi».


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