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Repubblica: Quei docenti nelle trincee

Marco Lodoli

14/10/2008
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la Repubblica

I valori della conoscenza

Gli insegnanti arrancano per ottenere un minimo di credibilità, schiacciati tra l´indigenza e il disprezzo, davanti a studenti che pensano ad altro

Fenomenologia del corpo insegnante

MARCO LODOLI

Dopo anni e anni di riforme scolastiche fondate su incerti presupposti pedagogici, dopo Berlinguer, la Moratti, Fioroni e il progressivo smarrimento di insegnanti e allievi di fronte ai nuovi programmi e ai nuovi criteri di giudizio, alle Siss e ai moduli, alla metamorfosi costante degli esami di Stato e alla sistemazione dei precari, ecco che in un attimo tutto si semplifica: finalmente si è trovato il principio regolatore del marasma, era l´uovo di Colombo, ma ci voleva l´accoppiata vincente Tremonti-Gelmini per pervenire a tanta brutale chiarezza. La scuola sarà riorganizzata secondo i pochi soldi che restano.
Certo, non è un discorso che si può fare apertamente, va mimetizzato dietro le frasche dei grembiulini e del voto in condotta, dietro il velo della nostalgia dei bei tempi che furono, ma la sostanza ormai è evidente. Il piatto piange, dunque si mandano a casa tante maestre, si riducono gli anni scolastici, si congelano i precari in un freezer mortale. Non basta ancora, dalla torre di comando, coi conti della spesa in mano, scende il ministro Brunetta per bacchettare gli insegnanti: per quello che fanno guadagnano benone, in fondo il corpo docente è fin troppo pingue e sotto sotto se la intende mollemente con le armate invisibili dei fannulloni. E ancora: si auspica lo sbarco nella scuola delle fondazioni, addirittura degli sponsor, denaro privato, fresco, produttivo, denaro che produrrà altro denaro, se tutto va bene, e viene quasi da immaginare i nostri bambini con il loro bravo grembiulino azzurro e il nome dell´azienda finanziatrice sulla schiena, come accade ai giocatori di calcio.
Insomma, ci spiegano Tremonti e la Gelmini, lasciamo stare Rousseau, Steiner e la Montessori, non perdiamoci nella nebbia delle teorie, cancelliamo ogni patetico e rovinoso sessantottismo e andiamo al cuore del problema: la scuola è una ditta sull´orlo del collasso, e allora come nella più feroce tradizione neoliberista, subito forbici e tagli, poi si vedrà. Del resto già da qualche anno, con il varo solenne dell´autonomia scolastica, è difficile per un insegnante parlare dei problemi didattici con il suo dirigente scolastico. «Il preside è corso in banca a firmare carte», «Il preside sta rivedendo le entrate e le spese con la segretaria», «Il preside non sa dove sbattere la testa per pagare i supplenti». Il mondo dell´economia, reale o immaginaria, preme sempre più sulla scuola: gli stessi allievi da molto tempo sentono che in fondo Aristotele o la trigonometria non serviranno un granché, che la vita di oggi ruota attorno ad altri assi cartesiani, soldi e divertimento, soldi e successo, come un luna park eccitante al quale le biblioteche non possono insegnare un bel nulla.
Il paradosso è proprio questo: il nuovo governo berlusconiano dichiara di voler restituire serietà e autorevolezza alla scuola, contro il lassismo di insegnanti lazzaroni, quando chiunque lavori in un´aula sa che lo sfacelo è figlio proprio della trasformazione antropologica elaborata dalle reti Mediaset, negli studi pubblicitari, nei centri commerciali, in una sottocultura biecamente edonista che ha illuso i più deboli e i più giovani privandoli persino di un senso di dignità e di una colonna vertebrale. Così gli insegnanti arrancano per ottenere un minimo di credibilità, schiacciati tra l´indigenza e il disprezzo, davanti a studenti che pensano ad altro, che neanche fingono più di credere ai valori della conoscenza e dell´apprendimento.
Un esempio clamoroso è il film La classe, Palma d´oro a Cannes, incensato da tutta la critica. La figura dell´insegnante appare nella sua versione più desolata, il povero Bégaudeau, autore del libro e protagonista principale del film, è davvero uno sciagurato, quasi un inetto, che non ne fa una giusta neanche per sbaglio. Tutto l´anno scolastico perduto dietro una sola idea, far scrivere a ogni studente il suo autoritratto. Mai osa proporre ai ragazzi un brano di Shakespeare, una poesia di Baudelaire, qualcosa di alto e nobile che possa modificare le loro sensibilità: non crede più alla potenza dell´arte, del pensiero, della bellezza, si accontenta di aderire timorosamente alla vita degli studenti, di certificare l´esistente, lo status quo, la vita così com´è, ed è una brutta vita. Finirà a insultare due allieve e a farsi minacciare dal bullo della classe, poi espulso a forza dalla scuola. Un insuccesso totale, una catastrofe. La scuola rischia sempre più di diventare un mondo in cui la cultura conta poco o niente, dove imperano il presente, il disagio, i soldi sognati o tagliati.

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