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Repubblica-QUATTRO SCENARI PER I CONTI DA INCUBO

QUATTRO SCENARI PER I CONTI DA INCUBO LUIGI SPAVENTA La Ragioneria Generale dello Stato aveva già dato conto, con precisione e senza abbellimenti, della situazione e delle tendenze della f...

27/07/2004
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la Repubblica

QUATTRO SCENARI PER I CONTI DA INCUBO
LUIGI SPAVENTA
La Ragioneria Generale dello Stato aveva già dato conto, con precisione e senza abbellimenti, della situazione e delle tendenze della finanza pubblica: le cifre della relazione di cassa per il settore statale annunciavano la necessità di una ?manovra' aggiuntiva per quest'anno; in numerose audizioni parlamentari il Ragioniere Generale aveva richiamato l'attenzione sulla dinamica squilibrata di alcune voci di spesa. I dati disponibili davano comunque evidenza di un peggioramento continuo e strutturale dei conti. Il ricorso a entrate non ripetibili (le cosiddette una tantum) poteva trovare giustificazione nella necessità di compensare gli effetti sul bilancio di una cattiva congiuntura. Ma quel limite fu di lunga superato: nel 2003, i condoni, a fronte di un effetto congiunturale negativo di poco superiore a mezzo punto di prodotto, assicurarono entrate per quasi due punti (con costi di equità e, probabilmente, di propensione dei cittadini a osservare in futuro i loro obblighi tributari). Si è calcolato (Roberto Perotti su lavoce.info) che nel 2003 l'avanzo primario (entrate meno spese al netto degli interessi) corretto in aumento per tener conto della bassa crescita, ma depurato dalle misure una tantum si è ridotto a un misero 1,1%: un dato strutturale non solo incompatibile con una riduzione delle imposte, ma anche insufficiente ad assicurare una pur modesta diminuzione del rapporto fra debito e prodotto.
Il vantato rispetto del vincolo europeo del 3%, ottenuto solo grazie all'eccesso di una tantum, offriva un comodo alibi a Governo e maggioranza per trascurare i problemi che si venivano accumulando. E' merito notevole del Ministro Siniscalco di averli messi sul piatto politico quasi brutalmente, e comunque senza infingimenti e senza offrire (per ora) il sollievo di nuove escogitazioni di contabilità straordinaria. Per tornare all'onor del mondo, servono 24 miliardi, di cui almeno 17 da ottenere con interventi ad effetto permanente; una riduzione di pressione fiscale, se la si vuole, dovrà trovare ulteriore copertura. E' un conto pesante, che induce a considerare quali scenari potranno disvelarsi nel prossimo autunno.

Primo scenario. Tagli di spesa permanenti per 22-23 miliardi: oltre ai 17, altri 5 o 6 per un altro modulo di riduzione di imposte sui redditi personali, che, se si vuole ridurre la pressione fiscale, non può essere certamente finanziato con altre entrate tributarie. Mission impossible, verrebbe da dire: una riduzione permanente di spesa di dimensioni siffatte, da eseguire in unica soluzione, pare difficilmente praticabile; comunque, considerati i precedenti (dipendenti pubblici, pensioni, spese per la difesa), non si può ipotizzare coesione della maggioranza su tale operazione.
Secondo scenario. Come il precedente, ma senza la riduzione di imposte e magari con qualche aggravio tributario. Missione pur sempre difficile, ma soprattutto politicamente, e non solo contabilmente, improbabile: a un anno e mezzo dalle elezioni, il Presidente del Consiglio sarebbe costretto a strappare definitivamente la pagina a lui più cara del "contratto con gli Italiani".
Terzo scenario. Si riducono un po' le aliquote, e al contempo si fa qualche taglio di spesa e si trova qualche altra entrata, ma non nella misura necessaria. Pazienza se si sfora il limite del 3% e se il debito scende solo grazie a qualche privatizzazione. Ipotesi non improbabile: la procedura europea di sanzioni è sotto tiro; comunque prende tempo; comunque richiede maggioranze qualificate, con la partecipazione di paesi (Francia e Germania) che ci sono in debito di clemenza. Può essere che in conseguenza aumentino i tassi d'interesse sul nostro debito, ma con effetti di spesa diluiti nel tempo. Le conseguenze politiche ed economiche, dunque, si sentirebbero non prima delle elezioni: se l'attuale maggioranza resta, si vedrà; se no, gli oneri dell'aggiustamento saranno a carico del Governo di domani.
Quarto scenario. Non trovandosi accordo nella maggioranza su alcuno dei tre scenari precedenti, crisi politica ed elezioni anticipate.
L'opposizione ? come avviene ovunque ? trova motivo di compiacimento nel constatare che i nodi della politica economica del Governo in carica vengono al pettine. L'opposizione, tuttavia, ha motivo di che preoccuparsi. Chi andrà al governo nel 2006 (o nel 2005) dovrà accettare senza beneficio d'inventario un'eredità il cui passivo eccede di lunga l'attivo e gestire comunque una situazione assai difficile: con tagli pesanti e poco selettivi della spesa dello Stato e degli enti locali, se la correzione viene attuata (forse accompagnata da una riduzione di aliquote che sarà difficile abrogare); con un grave squilibrio finanziario da correggere, altrimenti.
L'opposizione si accinge a predisporre un suo programma. Non vorrà imitare chi nel 2001, in uno studio televisivo e alla presenza di un notaio, promise tutto a tutti in condizioni di finanza pubblica già disagevoli. Oggi, in condizioni ben peggiori, i vincoli a cui è soggetto un programma credibile si sono fatti assai più stretti. Un previo pur se silenzioso accertamento delle condizioni finanziarie di fattibilità ? un inventario dell'eredità ricevuta ? pare indispensabile. Come secondo passo occorrerà definire i modi più equi ed efficienti per rispettare quelle condizioni. A mo' di esempi: due sindaci (Veltroni e Chiamparino) hanno detto cose sagge sui trasferimenti agli enti locali; è un luogo comune, ma avvalorato dall'esame delle differenze regionali, che la dinamica della spesa sanitaria può essere contenuta senza ridurre le prestazioni.
Oggi è tornata a tirare un'aria che somiglia tanto a quella dell'inizio degli anni novanta: nonostante una spesa di interessi pari a meno della metà di quella di allora, di nuovo rischi di finanza pubblica fuori controllo; di nuovo necessità di interventi in emergenza, che, proprio perché tali, finiscono solitamente per produrre esiti iniqui o inefficienti. Un programma di chi vuole governare deve anzitutto dimostrare che si può fare di meglio.


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