Repubblica-Quando la lezione di Islam è un dovere
LE IDEE Quando la lezione di Islam è un dovere NICOLA COLAIANNI Qualche episodio...
LE IDEE
Quando la lezione di Islam è un dovere
NICOLA COLAIANNI
Qualche episodio di intolleranza verso usi e costumi islamici (oggi, il velo portato dalle donne, ma domani potrebbe essere il fatto stesso di essere musulmano) sta suscitando giusta apprensione: la storia raccontata a "Repubblica" dalla moglie dell'Imam di Bari, Aisha, nata a Bari ma converitta all'Islam, ne è un esempio. E bene, quindi, ha fatto l'amministrazione comunale a compiere subito gesti distensivi, annunciando anche iniziative di sostegno alle scuole. Che, invero, può fare molto per favorire la conoscenza e il rispetto delle diverse culture.
Non solo per educare alla tolleranza degli extracomunitari, come in passato. Ma, di più, per favorire l'integrazione con cittadini italiani, quali ormai sono, di diversa religione e cultura. E' in gioco, cioè, la coesione nazionale.
Perciò la legge sull'immigrazione (la numero 40 del 1998) obbliga enti locali e scuole ad adottare "misure di integrazione sociale" (articolo 40). Tra queste è specialmente importante "la raccolta presso le biblioteche scolastiche e universitarie di libri, periodici e materiale audiovisivo prodotti nella lingua originale".
Data la notoria insufficienza dei bilanci scolastici, si deve indirizzare qui la politica di primo intervento del Comune: non estemporaneo ma programmato nel tempo.
In modo da sostenere con costanza i docenti. E da utilizzare le preziose e misconosciute risorse di questa città: dalle associazioni di volontariato a straordinari eventi culturali come Balafon, la rassegna di cinema africano che quest'anno sarà dedicata al tema della riconciliazione. Altre iniziative scolastiche si possono individuare.
Anche se non proprio un'ora alternativa di Islam, mentre si svolge l'ora di religione cattolica per gli studenti che se ne avvalgono. Per il semplice motivo che la legge non la prevede. Infatti, non c'è "intesa" -secondo l'art. 8 della Costituzione- tra governo e organizzazioni islamiche (che in Italia sono addirittura tre, a parte il centro islamico di Roma). Di conseguenza, al momento gli studenti a scuola possono studiare - se vogliono - religione cattolica, ebraismo o "fatto religioso" con esperti protestanti (valdesi, battisti, avventisti, luterani, pentecostali). Perché con queste confessioni è stata stipulata un'intesa. Non possono, invece, fare l'ora di religione islamica (o buddhista, eccetera).
Ma questo non è un problema. Se infatti si tratta di favorire, come vuole la legge, la conoscenza e la valorizzazione delle diverse espressioni culturali e religiose, nonché la "prevenzione della xenofobia", occorrono non momenti di separazione (ogni studente si va a fare la propria ora di religione) ma di integrazione.
Incontri in ore aggiuntive o, a richiesta degli studenti, in quelle dedicate alle loro assemblee, sull'islam, sull'ebraismo, sul cristianesimo ortodosso e riformato, sul buddhismo: condotti ciascuno da esponenti della confessione interessata. I quali potrebbero, inoltre, partecipare tutti insieme, compresi gli insegnanti di religione cattolica, a tavole rotonde su temi specifici. Ecco un elenco, tratto da analoghe iniziative prese altrove (in particolare, Roma): interpretazione dei testi sacri, religione e natura, ambiente, pace, società e stato, lavoro e giustizia sociale.
Il Comune potrebbe assicurare i servizi necessari per il funzionamento di un "Tavolo interreligioso", gestito autonomamente da rappresentanti di tutte le confessioni esistenti sul territorio (facendo attenzione a non confondere, com'è successo, l'ebraismo con l'associazione Italia-Israele) e docenti.
Si potrebbe così assicurare un insegnamento "al plurale" del fatto religioso e delle sue implicazioni sociali. Non dimenticando che il temuto "scontro di civiltà" è solo in parte, e strumentalmente, un fatto religioso. E perciò sarebbe preziosa la partecipazione di esperti laici, anche non credenti: ma - quel che importa, come dice il cardinal Martini - "pensanti".
L'importante è che la differenza (di cultura, di religione, di genere) venga assunta come valore pedagogico centrale della scuola. In modo da passare da un'educazione multiculturale - in cui le varie culture si sovrappongono, rimanendo separate - ad un'educazione interculturale: in cui le identità culturali si riconoscono e si aprono reciprocamente i confini.