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Repubblica: Prove d'accesso e scuola di massa

PARLA IL SOCIOLOGO BERNARD LAHIRE: IN FRANCIA SELEZIONANO CON LA MATEMATICA PROVE D´ACCESSO E SCUOLA DI MASSA

14/09/2007
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la Repubblica

prospettiva Il test è figlio del quiz e offre sempre un´immagine parziale dei candidati
PARIGI

«Nell´epoca dell´università di massa, i test d´accesso servono a regolare il flusso degli studenti, ma non è detto che siano il metodo più efficace per reclutare i candidati che riusciranno meglio». Bernard Lahire, che da molti anni si occupa di sociologia della cultura e della scuola, esprime un certo scetticismo di fronte ai metodi di selezione oggi in uso nel mondo accademico. Scetticismo che nasce anche da una solida esperienza d´insegnamento all´Ecole Normale Supérieure di Lione: «Molto spesso i test sono solo un modo rapido per ridurre il numero dei candidati», spiega lo studioso francese, autore di molti saggi, tra cui La culture des individus, Culture écrite et inégalités scolaires, Les manières d´étudier e La condition littéraire. «In Francia, la selezione avviene soprattutto all´ingresso delle cosiddette grandes écoles, le scuole d´eccellenza che formano l´élite intellettuale, scientifica e economica del paese. L´accesso in queste scuole è selezionato rigidamente, tanto che, dopo la maturità, gli studenti devono frequentare due anni di corsi intensivi che preparano gli studenti al concorso d´ammissione. Ma anche per essere ammessi a questi corsi di preparazione la selezione è sempre molto dura, di solito sulla base dei risultati scolastici precedenti. Per quanto riguarda l´università propriamente detta, tranne in alcuni corsi di laurea, l´accesso è teoricamente aperto a tutti. Nei fatti però, di fronte al grande numero di domande, le facoltà più prestigiose adottano sempre più spesso sistemi di selezione più o meno scoperti. Soprattutto nelle filiere che professionalizzano immediatamente, come medicina o giurisprudenza, s´è imposta la logica del numero chiuso».
La selezione all´ingresso degli studi universitari è dunque diventata una tendenza generale?
«Sì, e indipendentemente dal diffondersi dei test d´accesso, dato che, prima ancora dei test, agisce una sorta di selezione naturale. Le origini sociali, il percorso scolastico, il tipo di maturità conducono molti studenti ad autoescludersi più o meno consapevolmente. A volte basta l´insicurezza in una sola materia. In Francia, ad esempio, la matematica è diventata un mezzo per selezionare gli studenti, indipendentemente dai loro profili scolastici. Quelli bravi in matematica sono ritenuti i migliori sempre e comunque per tutte le discipline. Così si seleziona attraverso la matematica anche in ambiti di studio dove essa non è l´unica competenza necessaria. Naturalmente ciò non ha senso. Si tratta solo di una convenzione legata all´epoca. Una volta i migliori erano quelli che sapevano bene il latino».
Questo dominio della matematica come si spiega?
«Il dominio diffuso della cultura scientifica e tecnologica ha rimesso in discussione l´antico primato della cultura umanistica. Purtroppo passare dal latino alla matematica per selezionare i migliori non risolve il problema. Sono cambiati i rapporti di forza tra le culture, ma pensare di selezionare attraverso un unico criterio è sempre un errore, perché in questo modo si normalizzano e si appiattiscono i profili degli studenti ammessi».
Chi sostiene la necessità dei test d´accesso li considera come un mezzo di selezione che offre le stesse possibilità a tutti. E´ d´accordo?
«In teoria dovrebbe essere così. In realtà, gli studenti che riescono meglio sono quelli che fin dall´inizio possiedono un capitale culturale più elevato e quindi sono i meglio preparati ad affrontare questo tipo di selezione. Naturalmente ci sono anche le eccezioni di studenti provenienti da ambienti sociali svantaggiati – quindi con un capitale culturale e scolastico limitato – che riescono lo stesso ad ottenere risultati brillanti. In generale, però, i test selezionano sempre lo stesso tipo di studenti. Va poi detto che il ricorso ai test d´accesso è figlio della cultura del quiz che trionfa in televisione. I test a risposta multipla sono più rapidi da correggere, ma favoriscono gli studenti che possiedono un sapere parcellizzato, spesso imparato a memoria. Non riescono invece a misurare le capacità di ragionamento, di studio o d´organizzazione. Insomma, la cultura del test è il sintomo dell´arretramento della cultura critica e riflessiva, in nome della semplicità, della rapidità e dell´efficacia diretta».
Perché è così severo?
«Più questo tipo di test si diffonde, più s´impoverisce il parco degli studenti e più si conserva lo statu quo. Di fronte alla varietà dei profili culturali dei candidati, la rigida griglia dei test d´accesso riconosce solo alcune delle loro competenze. Mette in luce l´erudizione o la conoscenza teorica di una disciplina, ma non permette certo di cogliere le competenze di tipo relazionale che in alcuni ambiti (la psicologia, la sociologia, eccetera) sono molto importanti. Senza dimenticare che il test domanda competenze formali molto particolari concentrate in un ambito temporale molto limitato, con tutti gli imprevisti che una situazione del genere comporta. Un test offre sempre un´immagine parziale dei candidati. E i più bravi a rispondere in una situazione d´esame non sono sempre i più interessanti. Alla fine, il test diventa un filtro in più, che, invece di semplificare, aggiunge complessità al sistema, escludendo molti studenti potenzialmente capaci».
Ma allora che fare?
«Lo studio del percorso scolastico dello studente o un colloquio diretto consentono di mettere in luce con più precisione le conoscenze e le potenzialità reali di un candidato. Il colloquio è certo meno formale e "scientifico", ma consente di cogliere gli interessi e la determinazione degli studenti. Non dico che sia la soluzione ottimale, ma è sempre meglio di un test. Naturalmente, mi rendo conto che nell´università di massa ciò è molto difficile da realizzare. In ogni caso, dovremmo essere più creativi per inventare nuove soluzioni. Forse bisognerebbe partire dai successi professionali in un dato settore, per capire i percorsi culturali da cui sono nati. In questo modo, si potrebbero elaborare meccanismi di selezione più efficaci di quelli in vigore».


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