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Repubblica: Professori e psicologi si dividono "Numeri sterili". "No, più chiari"

"La valutazione è un tema delicatissimo che non si risolve tornando al voto. Questo provvedimento è un arretramento che serve a coprire altro"

29/08/2008
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la Repubblica

Il pedagogo Vertecchi: "Dietro i voti non sappiamo cosa c´è". Oliviero Ferraris: "Meglio di tante parole"

E dalle cattedre c´è chi avverte: si regredisce per rassicurare

La proposta: limitarsi a un giudizio almeno per i primi due anni di elementari
MARINA CAVALLIERI

ROMA - Un messaggio politico rassicurante, una restaurazione, un provvedimento inutile, una riforma sterile. Più marketing che pedagogia. La "rivoluzione dei numeri", come qualcuno ha definito il cambiamento della valutazione nella primaria e alle medie, è accolta da chi lavora nella scuola nel migliore dei casi con disincanto, più spesso con rabbia, raramente con convinzione.
«Dietro un 8 in italiano cosa c´è? E dietro un 5? Il voto ci porta ad un regresso, non chiarisce cosa si valuta, non ci fa riflettere, in questo modo torna il giudizio discrezionale», spiega con molta foga Simonetta Salacone, dirigente scolastico di una scuola primaria di Roma, la "Iqbal Masik", nome di un bambino pakistano ucciso dalla mafia dei tappeti. «Dare un voto in italiano, per esempio, non vuol dire niente se non si chiarisce a cosa è riferito, alla lettura, alla ortografia, alla comprensione del testo. La valutazione è un tema delicatissimo che non si risolve tornando al voto. Questo provvedimento è un arretramento che serve a coprire altro».
Un provvedimento che per molti ha un valore rassicurante, con un risvolto politico più che scolastico, un messaggio destinato soprattutto al mondo esterno alla scuola, ad un´opinione pubblica ansiosa, a famiglie incerte, stanche di psicologia, vogliose di certezze. «Da un punto di vista di teoria della misura voti o giudizi sono equivalenti, sono una graduatoria, è solo una questione di abitudine», spiega Benedetto Vertecchi, pedagogo. «La reintroduzione del voto numerico è un modo per attirare l´attenzione di una generazione in là con gli anni, un modo per assecondare una tendenza regressiva di quelli che sono andati a scuola prima del 1977, anno in cui furono introdotti i giudizi, è un modo per dire "stiamo ricostruendo quel clima educativo a cui voi eravate abituati". I voti fanno senso comune, sono ammiccanti. In realtà il voto nasconde il contenuto reale della valutazione, dietro non sappiamo cosa c´è e il giudizio morale si mescola a quello sull´apprendimento».
Nel 1977 con la legge 517 è stato sostituito il voto numerico con il giudizio, da allora sul "nuovo" metodo è cresciuta più di una generazione di insegnanti che negli anni ha perfezionato gli strumenti della valutazione. «Si torna indietro, il voto è di per sé sterile non ha contenuto, è solo il sintomo del rendimento e quella della semplificazione è una scusa perché anche il giudizio è chiaro», dice Paola Pisano, maestra di una scuola primaria in provincia di Arezzo. «In realtà con il ritorno ai voti si vuole mandare fumo negli occhi per coprire le reali carenze della scuola smantellando un´esperienza pedagogica collaudata».
C´è chi difende però il voto, la sua nettezza, la sua efficace semplicità, l´essenzialità del numero contro l´ambiguità delle parole. «Ho sempre pensato che il voto fosse meglio», dice Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell´età evolutiva. «Il voto non è un giudizio sul ragazzo ma sul rendimento, valuta il profitto in senso stretto, è un indicatore. I giudizi poi possono diventare molto stereotipati quindi non c´è più molta differenza con i voti». Sì, dunque, al voto ma non per i più piccoli, «non per i primi due anni almeno, per loro basta un commento». Più cauta e disponibile anche un´insegnante di una scuola media di Roma, Carmela Vecchione: «Il voto forse dà adito a minori incertezze, può essere un messaggio più chiaro per le famiglie. Comunque gli insegnanti sono stanchi di questi cambiamenti che arrivano dall´alto, di queste inversioni di rotta che creano solo un falso movimento».

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