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Repubblica: poli scientifici che ci mancano

mettere accanto, in "contiguità fisica", facoltà universitarie tecnico-scientifiche, istituzioni di ricerca pubbliche e private, imprese ed investitori finanziari (capital venture), al fine di stimolare processi virtuosi di sviluppo tecnologico ed industriale

15/05/2006
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la Repubblica

I CARLO CASTELLANO

Risale all´inizio degli anni cinquanta la nascita del più importante parco scientifico e tecnologico del mondo, lo Stanford Research Park ? promosso dall´omonima Università. Il parco, adiacente al campus universitario, si estende in una lunga valle in prossimità di San Francisco in California. Da allora la più celebre concentrazione di imprese e di centri di ricerca high tech ? che venne ben presto soprannominata "Silicon Valley" - è stata "riprodotta" in quasi tutti i Paesi del mondo: dal Giappone alla Corea, alla Cina, ad Israele, all´Inghilterra, alla Finlandia, alla Spagna e alla Francia (per tutti il grande parco di Sophia Antipolis, sorto dal nulla alle spalle di Nizza). Il fenomeno, nell´arco degli ultimi quindici anni, è ormai caratterizzato da un andamento esponenziale: oggi si contano nel mondo oltre mille parchi tecnologici, con una crescente concentrazione nel Sud-Est asiatico, con rilevanti investimenti delle istituzioni pubbliche, mentre le singole iniziative (basti pensare al parco cinese di Shenzhen) stanno assumendo dimensioni sempre più vaste. Viene ormai detto che i parchi tecnologici costituiscono oggi un vero e proprio nuovo "settore industriale". Non tutti i "trapianti" hanno però avuto successo: non pochi parchi sono rimasti di fatto solo sulla carta. Ma è il disegno di fondo del modello "Silicon Valley" a dimostrarsi "vincente": mettere accanto, in "contiguità fisica", facoltà universitarie tecnico-scientifiche, istituzioni di ricerca pubbliche e private, imprese ed investitori finanziari (capital venture), al fine di stimolare processi virtuosi di sviluppo tecnologico ed industriale. Infatti, il far "convivere", in un´area relativamente circoscritta (non solo nei laboratori e negli uffici, ma anche nelle residenze) studenti, professori, ricercatori, ingegneri e tecnici stimola la creazione di una "massa critica" di conoscenze, di contatti, di legami e di relazioni, humus favorevole alla nascita e allo sviluppo di imprese e di attività tecnologiche. Lo sanno bene coloro che hanno vissuto l´esperienza dei campus, dove la stessa comunicazione "informale" (nei ristoranti, nei luoghi di svago, nelle relazioni sociali e personali) assume una grande valenza creativa.
E in uno scenario così dinamico e competitivo, quale è la realtà del nostro Paese? In un Convegno tenutosi - nelle scorse settimane - alla Facoltà di Economia dell´Università di Genova è emerso che sulla carta si contano oggi in Italia circa 30 parchi scientifici e tecnologici. Ma, in realtà, se se ne escludono alcuni (tra tutti, l´Area Science Park di Trieste ed il Science Park San Raffaele di Milano) il panorama italiano è ancora modesto. Forse perché, come risulta da un´indagine presentata a Genova dai ricercatori dell´Università di Pavia, le dimensioni dei nostri parchi sono troppo esigue (nella media 30-50.000 mq.). Inoltre è mancata da noi non solo la decisiva spinta delle Facoltà scientifico-tecniche, che svolgono un ruolo proattivo nelle più significative esperienze internazionali ma anche una più forte e decisiva volontà di collaborazione da parte delle imprese. A questo va aggiunta un´ulteriore considerazione che deriva dalle scelte fatte dal nostro Governo nell´arco degli ultimi anni. Il Ministero della Ricerca e dell´Università ha infatti avviato una differente strategia, rispetto a quella prevalente a livello internazionale. Si è puntato sulla nascita di "distretti tecnologici". In sintesi, lo Stato, le Regioni, le Università e le imprese locali, tramite questo strumento, sono sollecitati ad individuare aree tematiche in cui avviare e sviluppare comuni ricerche tecnologiche, investendo fondi sia pubblici che privati. In questo modo si promuovono soprattutto accordi di collaborazione ed il distretto diventa di fatto solo un parco "virtuale", senza quindi ritrovare quelle condizioni di "contiguità fisica" tipiche delle esperienze internazionali di successo. Sia chiaro, in linea teorica, si tratta di un percorso potenzialmente "virtuoso" perché finalmente si ricerca un rapporto diretto tra imprese e Università a livello locale. Ma ? pur essendo ancora all´inizio delle concrete esperienze (solo Torino e Napoli hanno distretti tecnologici già operativi) - ancora una volta si è seguita in Italia una politica dispersiva e frantumata. Infatti sulla carta sono stati già formalizzati ben 22 distretti tecnologici con risorse finanziarie che diventano a questo punto quasi simboliche. A queste iniziative va certamente aggiunto il nuovo "Istituto Italiano della Tecnologia ? IIT" che, dopo due anni dalla sua formale costituzione, sta avviando a Genova i suoi primi, timidi passi. Alcuni osservatori sottolineano che è ormai inutile per il nostro Paese investire risorse nei settori tecnologici: sarebbe ormai troppo ampio il divario tra le nostre imprese (soprattutto medio-piccole) ed i concorrenti a livello mondiale. Una tale conclusione rischia non solo di marginalizzare ulteriormente l´Italia tra gli stessi Paesi europei, allontanandoci ulteriormente dagli obiettivi dell´agenda di Lisbona (il 3% del Pil investito in ricerca e sviluppo), ma anche di fornire un quadro deformato e scorretto della situazione dell´high tech italiano. Perché abbiamo significativi esempi (anche se non numerosi) di nostre imprese che operano con successo in specifici segmenti e nicchie del mercato mondiale. Proprio lo sviluppo di alcuni qualificati campus della tecnologia, della ricerca e della formazione potrebbe diventare la chiave di volta per quel necessario "salto di qualità" di cui abbiamo bisogno, facilitando la nascita e l´avvio di nuove imprese high-tech. E questo può avvenire in una logica di integrazione con alcuni degli stessi "distretti tecnologici" già avviati. In sintesi, abbiamo bisogno di creare e di sviluppare in Italia solo alcuni "poli" di traino, concentrati in alcune specifiche realtà territoriali. Ecco perché nell´agenda del nuovo governo di Romano Prodi si dovrà riservare una grande attenzione agli investimenti in tecnologia. Nel momento in cui il Presidente José Manuel Barroso lancia la proposta di un nuovo "Istituto Europeo della Tecnologia", lamentando proprio la frammentazione della ricerca europea, il nostro Paese deve sentire il valore di questa sfida e proporsi quale capofila per progetti che riguardino, ad esempio, le medie e piccole imprese high-tech. Possiamo ? se lo vogliamo e lo perseguiamo con grande determinazione - costituire ancora un polo di attrazione sul mercato mondiale delle intelligenze e della creatività tecnologica. Molti, troppi giovani laureati italiani devono andare all´estero, dove riscuotono grandi riconoscimenti proprio nei settori più avanzati della scienza e della tecnologia. E, nel contempo, rappresentiamo una scarsissima attrazione per giovani ricercatori internazionali. Su questi importanti obiettivi di politica tecnologica e industriale si dovranno misurare - sin dai prossimi mesi - il nuovo Governo ma anche quelle Regioni più aperte e disponibili a cogliere opportunità


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