Repubblica: "Più stage per fare esperienza così all´estero sono più bravi"
"Conoscere le lingue è una cosa fondamentale tanto quanto la matematica"
Giuseppe Orsi, laurea al Politecnico, è amministratore delegato di Agusta: ma bisogna puntare sui giovani
Se uno viene la prima volta senza giacca, non importa. Basta che capisca che la seconda deve metterla
In tutto il mondo anglosassone sono parte integrante del curriculum di studio E i risultati si vedono
CINZIA SASSO
MILANO - Giuseppe Orsi, laurea in Ingegneria al Politecnico di Milano nel 1970, è l´amministratore delegato di Agusta Westland, l´azienda italo-britannica che progetta elicotteri, compreso l´EH101, quello che la Casa Bianca ha voluto per il presidente degli Stati Uniti. Un´azienda dell´eccellenza che ha issato la bandiera italiana in Gran Bretagna e che ha i suoi diecimila dipendenti divisi tra Italia (5mila), Regno Unito (4mila) e resto del mondo. E che quindi può facilmente fare dei confronti tra i giovani che si affacciano al lavoro.
Ingegnere, è vero che gli studenti italiani non sanno da che parte incominciare quando si presentano in azienda?
«È vero che all´estero il mondo dell´università e quello delle aziende non sono due mondi separati, come accade qui da noi. Nel mondo anglosassone gli stage sono parte integrante del curriculum di studio, non sono optional che solo gli studenti più motivati cercano, a volte con difficoltà, di procurarsi. Però i giovani che io vedo sono davvero bravissimi».
Ci sono molti giovani nella sua azienda?
«Il 30 per cento dei nostri dipendenti ha meno di 35 anni, negli ultimi quattro abbiamo assunto 350 persone. E hanno una preparazione tecnica altissima, assolutamente ineccepibile. Direi che il mio campione è abbastanza vasto...».
E il suo giudizio, diceva, positivo.
«Ottimo. Ne ho parlato di recente con il rettore e gli ho fatto una raccomandazione: quella di continuare così, perché le difficoltà temprano e perché se il livello scende noi andiamo a prendere gli ingegneri in India. Noi, nella selezione, teniamo l´asticella molto alta e prendiamo solo i migliori. Voto di laurea sopra il 104 (su 110) o il 97 (su 100). Devono parlare correntemente inglese e avere fatto delle esperienze all´estero, o l´Erasmus all´università, o uno stage in qualche impresa. Ecco, quelli che escono dal Politecnico di Milano e hanno queste caratteristiche da noi trovano un posto certo, anzi, abbiamo qualche difficoltà a trovarli».
Pare che anche ai bravi studenti manchino però altre caratteristiche: che non sappiano fare un curriculum, o rapportarsi con la gerarchia aziendale.
«Beh, se uno viene da me la prima volta senza giacca, non importa; basta che capisca che la seconda deve metterla. Noi li coccoliamo molto e siamo disponibili a insegnare loro quello che non sanno: li educhiamo con un tutor, perché è vero che spesso non hanno idea di cosa sia un´azienda dove la capacità di relazionarsi con gli altri, la leadership, il team working sono requisiti fondamentali».
Anche lei si è laureato al Politecnico, trova che il livello dei laureati di oggi sia peggiorato?
«Io non ero uno degli studenti migliori, mi sono laureato nel ´70 e oggi con il mio voto non mi avrebbero nemmeno preso. Però si vede che avevo altri meriti, quelli che oggi vedo molto diffusi nei ragazzi: sono molto veloci a imparare quello che non sanno, il loro ambiente è il mondo, sono capaci di muoversi in modo indipendente. Credo che le difficoltà di sistema - le aule sovraffollate, la necessità di essere in facoltà alle 7 per trovare un posto libero - aiutino a imparare a sopravvivere. E poi rimane che questi giovani hanno una preparazione tecnica altissima, migliore di quella dei loro colleghi stranieri».
Cosa si potrebbe fare per dare una preparazione più completa, e quindi rendere i giovani italiani più competitivi?
«Introdurre sistematicamente quello che all´estero c´è già, e cioè un´esperienza in azienda. Il curriculum di studio va bene com´è, basta aggiungere solo questo aspetto più pratico. E poi è fondamentale l´inglese, ormai lo è tanto quanto la matematica».