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Repubblica-Ora di Religione-Da un concordato all'altro una realtà che divide invece di unire

quell'ora di religionE Da un concordato all'altro una realtà che divide invece di unire la scuola deve insegnare a incontrare l'altro Il vaticano dovrebbe prendere l'iniziativa ...

15/04/2003
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la Repubblica

quell'ora di religionE
Da un concordato all'altro una realtà che divide invece di unire
la scuola deve insegnare a incontrare l'altro
Il vaticano dovrebbe prendere l'iniziativa
È importante promuovere la conoscenza di tutte le fedi e non solo di una
UMBERTO GALIMBERTI


A proposito di un mio breve articolo apparso su Repubblica in occasione dell'anniversario del Nuovo Concordato firmato da Bettino Craxi nel 1984, un lettore, che si firma lagerinterfree.it, mi scrive: "Non mi capacito a ritenere - come fa lei - che per forza o comunque con alta probabilità la religione debba "diventare principio di divisione, quando addirittura di disprezzo e odio". Mi chiedo: è ineluttabile il fatto che se un uomo riconosce di appartenere debba per forza diventare ostile agli altri? Possedere un'identità è uno stato di necessitante violenza? Nessuna corrente di psicologia sottoscriverebbe che l'appartenenza è una minaccia ma all'opposto è un principio di realtà e di sanità. Anche la religione se vissuta per quello che è, è una dimensione umana, fa bene a tutti e alla scuola!".
In linea di principio nulla da obiettare alla posizione del mio lettore. Ogni cultura, infatti, come ricordavo nel mio precedente articolo, ha il suo sfondo religioso di provenienza, dove è facilmente riconoscibile la simbolica sottesa a un popolo, a una nazione, a un modo di fare civiltà. Ma che significa la traduzione di questo principio generale, in sé valido e giustificato, nella pratica dell'insegnamento della religione nella scuola? E ancora: che significa oggi quando la nostra società sta diventando sempre più multiculturale e la religione, che non diventa "conoscenza delle religioni", può diventare principio di divisione, di reciproca diffidenza, quando non addirittura di disprezzo e di odio?
Se è vero infatti, come dicevamo poc'anzi, che nella religione è custodita la simbolica di un popolo, lo scenario della sua appartenenza, quando non il luogo di riconoscimento della propria identità, il tutto radicato in quella dimensione pre-razionale tipica dei simboli che, in quanto pre-razionali, non facilita la dialogicità, non è difficile rendersi conto che legiferare sul "religioso" significa legiferare su una materia delicatissima dove in gioco non c'è solo l'"ora di religione", ma i temi profondi dell'identità e dell'appartenenza, attraverso cui ciascun individuo giunge al riconoscimento di sé.
La legislazione del Concordato firmato da Mussolini nel 1929 consentiva a chi non si riconosceva nella religione cattolica di chiedere l'esonero dall'ora di religione. Una forma umiliante di emarginazione per i pochi coraggiosi che se ne avvalevano e che, avvalendosene, dovevano già da piccoli imparare che cosa vuol dire essere un "diverso" in un gruppo, e dover sempre giustificare la propria posizione che il gruppo aveva già investito di proiezioni negative.
Fu per ovviare a questo inconveniente che nei primi anni Ottanta un gruppo di pedagogisti, di uomini di scuola e uomini di cultura iniziarono a predisporre i "nuovi programmi" della scuola elementare. E, nonostante il loro diverso orientamento, trovarono un accordo che prevedeva la sostituzione dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado con una materia che avrebbe dovuto chiamarsi "conoscenza dei fatti religiosi". Con questa sostituzione essi ritenevano che fosse opportuno sottrarre la religione al vincolo della "fede" (luogo di identità e di appartenenza forte, perché pre-razionale) per inserirla nell'ambito del "sapere" e della "conoscenza" che non sono mai luoghi di divisione, ma di dialogo, perché oltrepassano la soglia del regime simbolico dove la dialogicità è impossibile.
Il loro generoso tentativo fu bruscamente interrotto dall'emanazione del Nuovo Concordato firmato da Craxi nel 1984 che prevedeva che l'insegnamento della religione cattolica (e qui vorrei che l'aggettivo "cattolica", per correttezza e per evitare subdoli equivoci, accompagnasse sempre l'impropria dizione: "Ora di religione") fosse opzionale e, come dice il testo, i "non avvalentesi" potessero chiedere materie alternative o allontanarsi dalla scuola.
A questa soluzione non furono estranee le pressioni della Chiesa, preoccupata da un lato di non privare decine di migliaia di insegnanti di religione cattolica (il 20 per cento dei quali sacerdoti), nominati direttamente dai vescovi, che avrebbero visto ridursi drasticamente le loro possibilità di lavoro remunerato dallo Stato, e dall'altro di non perdere attenti ascoltatori in quella fascia di età in cui si formano e, inutile nasconderselo, si condizionano le coscienze.
I risultati furono quelli che oggi ancora constatiamo: il 93 per cento degli studenti, con un minimo in Toscana (84 per cento) e un massimo in Puglia (98 per cento) segue bene o male, volenti o nolenti l'ora di religione (cattolica). E per gli ebrei, per i musulmani, per i protestanti, per i Testimoni di Geova, per i mormoni, per i seguaci delle credenze new age, per gli agnostici, per gli atei? Reclameranno sempre di più la possibilità di seguire i corsi della loro religione? Probabilmente sì. Basta leggere la circolare del ministro Moratti che baratta la presenza del crocefisso in classe con l'invito alle scuole di offrire luoghi di culto (non di conoscenza) per le altre religioni, naturalmente, come precisa la circolare, in orario extrascolastico.
Arriveremo a fare come in Olanda dove i genitori hanno il diritto di richiedere scuole cattoliche per i cattolici, scuole protestanti per i protestanti, scuole del proprio culto per gli altri, e infine scuole senza religione per i non credenti che sono il 40 per cento della popolazione? Spero di no. Perché una simile situazione, lungi dall'essere rispettosa della "libertà", come i più rozzi credono, tutela solo l'"appartenenza" a un gruppo religioso piuttosto che a un altro, inculcando nei bambini, fin dall'asilo, il principio della divisione secondo categorie di appartenenza religiosa.
E sapete che bel servizio facciamo a questi bambini, insegnando loro a dividersi e a differenziarsi per credo religioso, quando poi saranno costretti a vivere in una società multiculturale, quale va prospettandosi per effetto dei flussi migratori, senza uno straccio di conoscenza per capire l'altro? Non è forse merito della scuola "pubblica", a differenza di quella confessionale (che in Italia vuol dire "cattolica"), offrire fin dall'infanzia un luogo privilegiato di incontro, di integrazione, di scambio, di tolleranza, di conoscenza reciproca? Non sono questi valori più importanti e più idonei per vivere in società multietniche quali sempre più saranno le nostre, di quanto non sia il valore dell'appartenenza che comunque si assorbe da ogni parte e non certo nell'"ora di religione"?
E se la scuola non fa questo lavoro di incontro e reciproca conoscenza a partire dall'infanzia, dove le idee si radicano più profondamente, non viene meno a uno dei suoi compiti che è poi quello di dare a ciascun individuo strumenti psichici e culturali per potersi muovere meglio in società dove convivono molte fedi? La storia infatti non è irrimediabilmente consegnata alle lotte tra integralismi, quindi alle guerre, agli olocausti, ai razzismi, alle reciproche diffidenze, solo se la scuola non viene meno al suo compito, che non è quello di insegnare a uno "chi è", ma "come fa" e di quali strumenti dispone per "incontrare l'altro". Dal momento che l'altro è qui con noi, a fianco di noi, in mezzo a noi. E noi per lui siamo "altri" con cui è possibile "fare la guerra" o "mettersi a parlare" per meglio intendersi.
Per guadagnare questi valori di convivenza, non occasionalmente ma strutturalmente, è necessario insegnarli fin da bambini. E quale occasione migliore dell'"ora di religione" declinata in un'"ora di conoscenza delle religioni" dove alla "fede", che di solito aiuta a radicarsi nella propria identità, si sostituisce il "sapere" che, oltre ad avere, rispetto alla fede, una maggior parentela con la cultura, apre al dialogo e alla comprensione.
Oggi il Papa parla con forza di pace e con lui la Chiesa nel suo complesso. Ma siccome sappiamo tutti che la pace non basta predicarla alla vigilia delle guerre, ma occorre costruirla pazientemente come disposizione dell'animo di ognuno, perché il Vaticano non rinuncia unilateralmente al capitolo del Nuovo Concordato che riguarda l'insegnamento dell'ora di religione (cattolica) e non sollecita la sua sostituzione con un'ora di "conoscenza delle religioni", in modo che già da bambini si sappia che le differenze di religioni sono la base delle differenze delle culture con cui, se non vogliamo essere sempre in guerra, bisognerà pur intendersi. Ben sapendo che non c'è possibilità di intesa se non c'è conoscenza.
Parlo di un gesto unilaterale del Vaticano perché la composizione del nostro attuale governo non consente a nessuna delle sue componenti di operare una simile scelta. La Lega infatti è così radicata nel suo localismo da non tollerare contaminazioni etniche. Alleanza nazionale ha sempre vissuto la cristianità come un fondamentale della sua identità. All'Udc non par vero di appartenere a una coalizione di governo che favorisce le scuole "private" che in Italia vogliono soprattutto dire "confessionali" e "cattoliche". Forza Italia si riconosce in un leader che, pur di cementare la sua amicizia con Bush, non esita a seguirlo acriticamente in ogni avventura.
E allora sia il Vaticano, che nelle parole del Papa e dei suoi vescovi non c'è giorno che non ribadisca la necessità della pace, a farsi promotore di una iniziativa unilaterale che dia sostanza a questa parola. E dica: nell'ora di religione insegniamo fin da bambini il senso e il significato di tutte le religioni, in modo da costruire "uomini di pace" invece che "uomini di appartenenza" di cui la religione è la prima radice. Allora, e solo allora, anche le parole di pace della Chiesa saranno credibili. Davvero credibili.


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