Repubblica: O la Gelmini corre o la riforma fallisce
Mario Pirani
Raramente, ormai, le argomentazioni di Ernesto Galli della Loggia coincidono con le mie, ma il suo invito – «Non dividiamoci sull´Università» (Corriere del 30 ottobre) – mi trova assolutamente concorde. Il progetto di legge presentato da Mariastella Gelmini, come ha scritto per primo sulle nostre colonne, Salvatore Settis, (25 ottobre), direttore della Normale di Pisa, «è di una portata che non si vedeva da tempo» e analizzando gli aspetti positivi come anche quelli critici, soprattutto per quanto si riferisce all´impegno finanziario, aggiunge: «A costo zero si fa meno di zero». Uno spirito di discussione, così equilibrato, è dovuto all´alto grado di coinvolgimento, richiesto dal ministro, ad un gruppo qualificato di docenti di vario orientamento culturale, fuori dal rapporto maggioranza-opposizione. Che il metodo sia stato quello giusto e consenta di promuovere scelte ampiamente condivise, lo prova, del resto, la recentissima (4 novembre) mozione della Conferenza dei rettori che ritiene «essenziale che l´occasione non vada perduta».
Ho avuto la riprova dell´attesa suscitata da questo disegno di legge, attraverso una verifica personale presso un certo numero di docenti, lettori di "Repubblica", che mi hanno suggerito non poche osservazioni, ma anche l´emergere di una ultima speranza sulla possibilità questa volta di salvare l´Università italiana, altrimenti avviata ad un declino catastrofico. Mi soffermerò su un solo punto: l´attivazione dopo alcuni anni di blocco dei concorsi di un percorso virtuoso alla docenza. A parte una breve «finestra» apertasi dopo il 1999 e presto richiusa, una parte rilevante del personale docente (ricercatori, associati e ordinari) provengono dal vecchio bacino dei «ricercatori d´annata», delle assunzioni e progressioni di carriera ope legis, dei concorsi e chiamate interne pilotate, delle valutazioni per anzianità.
Per contro i vincitori dei pochi concorsi post 1999 sono in genere studiosi motivati che avrebbero potuto rappresentare finalmente, passando attraverso il filtro di una sana competizione per merito, la prima leva di un nuovo e trasparente assetto della docenza. La legge Gelmini consente di riattivare questo filtro, dare una prospettiva a questa generazione che si sta avvicinando ai 40 anni e aprire una strada impegnata ma percorribile alle generazioni più giovani che intendano intraprendere la carriera accademica. Il fulcro della riforma sta nel concorso unico nazionale per titoli e meriti oggettivamente acclarati, da cui deve uscire una lista numericamente definita di idonei. Da questa lista le singole Università selezioneranno, con un altro concorso, i titolari delle cattedre via via disponibili. L´altra strada alla docenza, che la riforma apre, è quella cosiddetta teniure-track, (percorso di cattedra) che, di fatto, abolisce la categoria dei ricercatori a vita. Vi accedono quanti, vinto un dottorato, otterranno un contratto triennale di ricerca, rinnovabile al massimo per altri 3 anni. In questo periodo dovranno, frattanto, partecipare e risultare idonei al concorso nazionale. Al termine del percorso potranno essere esaminati e valutati dal loro ateneo per ottenere la cattedra di associato.
Capisco che al lettore normale l´argomento possa apparire ostico, ma si tratta di far saltare la crosta di comode connivenze, promozioni per parentela, complicità clientelari, malintese difese sindacali, abbarbicamenti conservatori che hanno tanto contribuito al degrado dell´università italiana.
Le forze rappresentate da questi ambienti regressivi si faranno sentire. Sono agguerrite sia nella maggioranza che nell´opposizione. La riforma vivrà se la Gelmini avvierà al più presto la macchina concorsuale riformata, aprendo subito spazi verso l´alto agli attuali ricercatori ormai maturi, e agli associati verso l´ordinariato. La vecchia generazione sta uscendo di scena. Tutto dipende da come verrà selezionata l´entrante. Se la Gelmini non metterà il piede sull´acceleratore la sua riforma rischia di arrivare troppo tardi.