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Repubblica: "Noi ragazzi usa-e-getta lontani dal sogno del ‘68"

Francia in piazza: l´inchiesta

02/04/2006
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la Repubblica

Si chiama Simon, ha 24 anni, ha preso una laurea e un master, parla tre lingue. Lavora in un call center, dove ogni lunedì firma un contratto che dura fino al venerdì. È tra i leader del movimento anti-Cpe e racconta: "Tutto è partito quando alla mia amica Kathy hanno proposto il nono stage non retribuito..."
ANAIS GINORI

Parigi
«Mi chiamo Simon, ho 24 anni, nel 2002 mi sono laureato in scienze politiche, nel 2004 ho preso un master in storia europea, parlo tre lingue. Lavoro in un call center. Passo le mie giornate a chiamare la gente chiedendo cose come: "Siete soddisfatti della vostra nuova macchina? Avete problemi con l´air bag?". Indagini di mercato. Il mio contratto è di cinque giorni, rinnovabili. Lunedì firmo, venerdì sono licenziato. Lunedì firmo di nuovo. Sono sei mesi che vado avanti, a casa ho una pila di contratti alta così. A volte l´azienda mi comunica a metà giornata che ho finito i miei compiti e devo andarmene: sono pagato a ore e non si può sgarrare di un secondo. All´inizio mi dava fastidio essere cacciato in questo modo, poi ci ho fatto l´abitudine. Dicono che siamo lavoratori-kleenex, usa e getta».
Montreuil, periferia est di Parigi. In una rosticceria araba, Simon ingurgita rapidamente spiedino, riso, tè. «Ho un´ora, solo questa pausa per parlare. Dopo? Al telefono è escluso, nell´orario di lavoro deve essere spento. Stasera sono in riunione con i ragazzi del collettivo. Possiamo risentirci domani durante la pausa?». Ha ancora la faccia da bambino, grandi occhi scuri, capelli corti, pochissima barba. È vestito con scarpe nere lucide e indossa un paltò marrone elegante. «Il nonno mi ha spedito qualche soldo per comprarmi i vestiti. Spera che servirà. Piange spesso, mio nonno. Mi chiama in lacrime: "Possibile che in Francia non ci sia posto per i giovani?". La mia sorella gemella vorrebbe diventare maestra e sta tentando per la terza volta il concorso pubblico. Questo è un paese che per tanti anni ci ha dimenticati. Ma ho fiducia, credo che adesso, con questo nuovo movimento, qualcosa cambierà. Davvero, lo credo».
Simon viene dalla campagna. Suo padre era allevatore di mucche, la madre libraia a Privas, un piccolo villaggio nelle valli dell´Ardèche. «Quella di mamma era l´unica libreria nel raggio di cento chilometri. Sono cresciuto sognando la capitale, lo sbarco nella grande metropoli. E per uno come me, di modeste origini, c´era solo una strada: studiare. Diploma ad Avignone, laurea a Marne-la-Vallée, master alla Sorbona. Ho fatto tutto il percorso, sempre massimo dei voti. Grazie alle borse di studio ho anche viaggiato, in Gran Bretagna, in Spagna, è così che sono diventato poliglotta. A settembre i miei professori mi hanno proposto di fare un dottorato. Ma senza borse di studio non me lo posso permettere. Allora ho detto basta, tento il grande salto, è arrivato il momento di entrare nella vita attiva».
Piove e c´è il sole, sono giornate incerte, anche per la Francia. Il collettivo a cui appartiene Simon si chiama Génération précaire. Sono tutti ragazzi che stanno finendo gli studi e si affacciano nel mondo del lavoro con grandi speranze, scontrandosi contro porte chiuse, boulots alimentaires, i piccoli lavoretti di sussistenza, contratti capestro. «Tutto è cominciato il giorno che alla nostra amica Kathy è stato proposto di fare il nono stage non retribuito. Per la prima esperienza si può capire ma se diventa normale lavorare senza essere pagati significa che c´è qualcosa di sbagliato nel sistema. A novembre, Kathy ha creato un sito per proporre uno sciopero nazionale degli stagisti. In poche settimane è stata travolta da un´onda. Oltre quattromila testimonianze di ragazzi come noi che si sentono sfruttati e umiliati. Un editore ci ha contattati per fare un libro con le nostre storie, ho scritto l´introduzione, uscirà tra venti giorni. Poi ci hanno cercato da altri paesi, da Barcellona, Berlino, anche da Milano: in Italia i precari non si sono ancora organizzati, vero? Ecco, stiamo pensando di fare una grande rete europea di noi giovani lavoratori usa e getta».
Durante le manifestazioni contro il Cpe quelli di Génération Précaire vanno in giro con il volto coperto da una mascherina. Invisibili, come i centomila ragazzi che ogni anno entrano ed escono nelle aziende con gli stage. Un mese, massimo sei mesi, poi «grazie, arrivederci». «Neanche grazie. Gli impiegati garantiti spesso non sanno il nostro nome». Dal 16 gennaio, giorno di approvazione del Cpe, Simon è in prima linea nelle proteste. «È un puro ricatto: ci vogliono convincere che un contratto precario è meglio di niente. Tra un po´ saremo noi che dovremo pagare per fare qualche esperienza professionale».
Simon guadagna, quando va bene, 800 euro al mese. Sopravvive con la debrouille, l´arte di arrangiarsi, in cui si è specializzato. Vive in un monolocale di diciotto metri quadri con l´amico Eric, quartiere Oberkampf. «Mi è andata bene, stare in banlieue ti fa spendere molti più soldi per i mezzi». Centoquaranta euro di affitto ciascuno, in nero, grazie a un amico di un´amica. «Scordati di trovare un proprietario che fa un contratto a quelli come noi. E se hai bisogno di soldi nessuna banca ti farà mai credito. Te l´ho detto, siamo invisibili».
Al mattino Simon è andato da Manpower, l´agenzia interinale con cui ha trovato il lavoro. Lo fa ogni settimana. «Per essere selezionato ho dovuto soltanto passare un test di ortografia. La ragazza accanto a me non è stata presa perché aveva scritto male Washington. So che attualmente occupo il posto che dovrebbe essere di una persona meno qualificata ma cosa posso farci? L´ascensore sociale si è rotto e invece di salire ormai va solo giù». L´ascensore sociale è un concetto fondante della République, la teoria secondo cui grazie all´educazione tutti, anche i figli delle classi più povere, possono staccare un biglietto per un futuro migliore.
Per Simon è già tanto sapere cosa farà tra una settimana. «A volte mi lasciano a casa per tre giorni senza dirmi nulla poi mi telefonano: "Tra due ore devi stare qui, abbiamo bisogno". Questa è la flessibilità». Prima del call center, ha fatto l´imbianchino, il fattorino, il raccoglitore di mele in Provenza. Definisce il suo curriculum professionale «orribile» ma lo dice senza risentimento. «Non ci sto più male. All´inizio passavo notti d´insonnia. È stato grazie al collettivo che sono guarito». Dice proprio così, come fosse una malattia. «C´è un grande conforto psicologico nell´incontrare persone come me, con le stesse paure, il dubbio di non essere buono a niente, con gli stessi banali problemi: cosa raccontare ai genitori? Come comportarsi all´ennesimo colloquio in cui ti propongono di fare un altro stage?».
Il rito quotidiano del precario è la visita al sito dell´Anpe, l´agenzia nazionale per l´impiego, in cui sono inserite tutte le offerte di lavoro. Simon non ha linea telefonica né computer («Sto mettendo da parte i soldi per comprarlo dopo l´estate») e quindi va a collegarsi negli Internet café. «Giovani di meno di 26 anni scoprite qual è il vostro spazio» c´è scritto nella prima pagina che rimanda a una guida ai contratti. È dal 1994 che i governi francesi tentano di scovare qualche soluzione per porre fine alla disoccupazione giovanile, il primo fu Edouard Balladur con lo Smic-Jeunes (salario d´ingresso). Il Cpe è il settimo della serie di contratti speciali, sempre rivolto a chi è sotto la fatidica soglia dei 26 anni. «Ci trattano come una categoria a parte, impedendoci di diventare adulti. Finiremo tutti come Tanguy» scherza Simon. Tanguy è il famoso film che deride il trentenne ancora a carico di mamma e papà, situazione piuttosto anomala in Francia.
Con il suo collettivo, Simon ha organizzando molte azioni di protesta. I militanti di Génération Précaire sono stati ricevuti dal primo ministro all´Hotel Matignon, poi anche dai sindacati, dall´Ump (il partito neogollista) e dai socialisti, dal Medef, la confederazione delle imprese. Simon è rimasto sempre deluso. «Quando mi dicono che stiamo facendo un nuovo Sessantotto mi arrabbio. Siamo messi molto peggio dei nostri genitori, a noi è proibito sognare. Però una cosa in comune con quegli anni la vedo: la classe dirigente è completamente staccata dalla realtà e ci disprezza. Mi dispiace quando dicono che siamo dei conservatori, che vogliamo difendere vecchi privilegi: abbiamo invece molte proposte da fare e chiediamo ascolto. Il primo ministro per esempio non ha ritenuto di consultarci quando ha fatto la nuova legge sugli stage, l´abbiamo saputo dalla televisione».
Martedì Simon sarà di nuovo in piazza. «Sono contro la violenza ma vedendo il muro che hanno alzato contro di noi ammetto che sono tentato di spaccare tutto come hanno fatto alcuni ragazzi a place des Invalides». Una casa normale, una famiglia normale: sono speranza lontane. «So che ci vorrà del tempo. Mi piacerebbe lavorare nella cooperazione internazionale». Quanto tempo? «Aspetto ancora quattro, cinque anni poi se sto ancora in questo pantano vado all´estero». Le manifestazioni, le proteste, andrete avanti? «Lo spero. Comunque ormai siamo sulla scena e l´anno prossimo si vota: dovranno fare i conti con noi». Simon, hai l´impressione che qualcuno abbia tradito una promessa? «Non sono uno stupido, lo vedo che il mondo è cambiato. Ma quelli più grandi di me, gli adulti, lo hanno capito?». Simon non può aspettare la risposta. Tempo scaduto. Guarda l´ora sul suo telefonino, saluta e si alza. «La pausa di un´ora è finita, e se arrivo in ritardo perdo anche il mio contratto-kleenex».


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