Repubblica: Noi, i ragazzi in gita scolastica
Riti collettivi la memoria
Un milione e trecentomila studenti delle scuole superiori si imbarcano ogni anno in un´avventura eccitante e impietosa che li mette alla prova in un ambiente diverso e li spinge a capire quanto costi crescere e diventare se stessi. Ecco, nei dati e nelle foto del Touring Club Italiano, una piccola storia dei "viaggi di istruzione"
Questi sono i giorni più belli dell´anno: stare tutti insieme lontani da casa, da sguardi e divieti dei genitori, dalle solite opprimenti abitudini è meraviglioso
MARCO LODOLI
Il momento più penoso dei consigli di classe è quando bisogna stabilire quale insegnante accompagnerà i ragazzi in gita. Prima quasi tutti si sono dichiarati favorevoli a questa tre giorni a Venezia o a Firenze, perché è un momento di crescita culturale - dice la professoressa di storia dell´arte; perché renderà la classe più compatta e amica - dice il professore di matematica; perché sono situazioni come queste, più libere e creative, che fanno fare uno scatto in avanti agli studenti - afferma la preside: serve un po´ di bastone, ma soprattutto serve tanta carota. Solo un vecchio professore di lettere fa notare che forse la classe non meriterebbe un premio, questa distrazione, visto che i voti sono bassi e il comportamento spesso indegno, che ci sono stati casi di grave insubordinazione e persino una rissa in un cambio d´ora. Ma poi anche lui si arrende e accetta l´inevitabile gita fuori porta.
Resta solo da decidere chi guiderà la spedizione, serve un volontario, un eroe. E qui casca l´asino. Qui tutti i professori si dichiarano, ma a malincuore, sia chiaro, totalmente indisponibili. C´è chi ha tre figli a cui badare, chi ha un padre malato - sono dieci anni che questo vecchio padre è malato, non muore mai - chi sta traslocando, chi deve concludere un breve saggio sulle tombe etrusche di Cerveteri - dieci anni che va avanti questo benedetto saggio e non se ne vede la fine. Insomma, tira e molla, minaccia e prometti, la gita rischia di svanire nel nulla per la mancanza di un accompagnatore. Alla fine è il vecchio professore di lettere che, supplicato, omaggiato, incalzato, accetta l´incarico. Lui sa bene cosa accadrà, indovina il futuro perché conosce il passato, ma stoicamente si affida al destino.
Arriva il giorno della partenza, l´appuntamento è davanti alla scuola alle sei e trenta di mattina. Piove a dirotto, sembra che tutto il cielo venga giù, e puntuali alle sei e trenta ci sono solo il vecchio professore di lettere e l´autista del pullman con la barba non fatta, la cicca all´angolo della bocca e il suo bestione rosso parcheggiato storto sul piazzale. Il prof si presenta e subito avverte nell´alito dell´autista una inquietante puzza di vino, vino da cartone, da un euro e venti al litro. L´autista è torvo, scostante e forse traballa un poco, mugugna mi raccomando, nel mio pullman ci si comporta bene, non si grida, non si fuma, non si fa casino. I ragazzi arrivano con molta calma, alla spicciolata, in un lasso di tempo di un paio d´ore. Sono eccitatissimi, molle caricate al massimo, ridono senza motivo, si danno grandi pacche sulla schiena, scaraventano valigie e zaini nell´antro del bagagliaio. Appello: ci sono tutti, anzi no. Manca Marchetti Felice. Al telefonino non risponde, a casa nemmeno, e il tempo passa e la pioggia scroscia e i ragazzi, sistemati sui sedili del pullman, amici amici ma insistono per partire, e chi se ne frega di Marchetti. Il bell´addormentato si sveglia con comodo e appare alle nove e un quarto tra gli insulti, le maledizioni e le risate.
È stato il primo problema, ma ne seguiranno altri ben più gravi. Alla prima sosta all´autogrill, Bianconi Flavio, un bisteccone da cento chili completamente rasato, prova a rubare tre cd di Gigi d´Alessio e un coniglio di peluche alto un metro e cinquanta, ma viene bloccato proprio all´uscita, e il professore deve discutere parecchio per evitare che venga chiamata la polizia, scusarsi, umiliarsi, andare via con la coda tra le gambe e Bianconi sottobraccio che ridacchia. Il viaggio prosegue tra assopimenti generali e trance collettive generate dalla musica tecno a palla. In molti provano a ballare nel corridoio del pullman, l´autista bestemmia e sbanda, si trova un compromesso su Tiziano Ferro e i Negramaro.
L´albergo a venti minuti da piazza San Marco in realtà è appena fuori Portogruaro: è un edificio desolato, invaso in questi giorni da scolaresche provenienti da diversi punti dell´Italia. Tra napoletani, milanesi e romani scattano subito le prime tensioni, coretti da curva e sguardi provocatori. Il vecchio professore cerca di ristabilire la calma, assegna le stanze, invita tutti i suoi alunni a comportarsi degnamente: ma intanto due ragazzi sono già stati attaccati da un febbrone da cavallo, vomitano e mormorano parole senza senso. Un altro ha perso soldi e documenti, un altro non trova più la sua valigia e singhiozza in un angolo della hall, vuole tornare subito a casa, vuole la mamma.
La prima notte non passa mai. Nessuno ha la benché minima voglia di mettersi a dormire, è un viavai infinito e tumultuoso per i corridoi, sono porte che sbattono, urla, gavettoni, alcuni tentativi di imbucarsi nelle stanze occupate dalle ragazze di un liceo di Barletta e altri di sottrarre le bottiglie di vodka al bar dell´albergo. Il professore argina come può quel furore dionisiaco, insegue, sgrida, prega. Alle cinque finalmente tutto tace. Alle otto della mattina, orario stabilito per iniziare a muoversi verso Venezia, i ragazzi sono vegetali che tendono al minerale, si muovono appena, sbadigliano di continuo, ma dopo una mezz´ora cominciano a riprendere vita e colore. Per loro questi sono i giorni più belli dell´anno, forse i più belli mai vissuti: di Tiziano e Giorgione, dei Frari e della Giudecca non gli importa quasi nulla, ma stare tutti insieme lontani da casa, dagli sguardi dei genitori, dai divieti e dalle solite opprimenti abitudini è meraviglioso. Hanno discusso per mesi sulla meta, hanno persino litigato, ma in fondo se il viaggio fosse solo il giro a oltranza del Raccordo Anulare e tre notti in un motel sulla Pontina sarebbe uguale. Ciò che conta è mettersi alla prova in un ambiente diverso, divertirsi tanto ma anche emozionarsi nelle notti che partono goliardiche e continuano in mille discorsi seri, decisivi come sono i discorsi a sedici anni. Ciò che conta è capire se si regge la pressione del gruppo, se si riesce a dimostrare di valere qualcosa di più di quanto si vede in classe. Capire quanto costa diventare se stessi.
I tre giorni a Venezia passano in un lampo, ma restano dentro a ogni ragazzo come una stagione d´amore e morte. Ogni minuto accade qualcosa di importante, che segna e trasforma. Il professore di lettere lo sa, lo ha già visto tante volte. Vede un amore che nasce su un vaporetto, lui che s´avvicina a lei, lei che sorride, e tutto è come sempre e tutto è nuovo, come sempre. Vede chi intuisce il proprio fallimento, fatto di paura e gregariato. Vede chi si perde per le calli, perché vuole perdersi, andare avanti da solo. Vede chi osserva un quadro con occhi diversi, e per la prima volta, e con un certo sgomento, scopre la bellezza. E qualcuno, sul far della sera, gli rivolge domande che non stanno nel programma scolastico: lei com´era alla mia età, professore, che si aspettava dalla vita, che cercava? Come mai, professore, io mi sento tanto solo?
È una tre giorni di verità e strappi profondi. Anche il vecchio professore di lettere si sente fragile: è riuscito a contenere ribellioni e ubriachezze moleste, ma tutta quella giovinezza lo turba. Anche lui si fa domande che non stanno né in cielo né in terra, ma che lo agitano. Quand´è che ho smesso di credere a me stesso, a quello che faccio, agli anni che passano di corsa. Quand´è che sono invecchiato? Perché mi allarma la professoressa di quella classe di Barletta? Venezia sta lì, splendida e indifferente come un depliant, ragazzi e professori si fanno le foto in piazza San Marco, tra i piccioni. Un giorno le riguarderanno, e diranno com´ero giovane e stupido, com´ero stanco, come tutto mi aspettava al varco, come sono stati decisivi quei giorni, quella gita fuori dal mondo.