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RICERCATORI UNA PROTESTA CHE VIENE DA LONTANO Mentre con una mano si istituisce un preca...
RICERCATORI UNA PROTESTA CHE VIENE DA LONTANO
Mentre con una mano si istituisce un precariato di ricerca, con l'altra si interviene sullo stato giuridico degli attuali ricercatori. Contro questa logica i ricercatori universitari si sono mobilitati, attuando come forma di protesta la sospensione dei corsi tenuti per supplenza. Semplicemente, i ricercatori si sono astenuti da una attività che non sono tenuti a fare. Ciò è bastato per far saltare il difficile equilibrio che consente alle università di andare avanti con risorse scarse e con un incerto quadro legislativo. Il risultato è che gli atenei sono in fermento e molti corsi non sono cominciati. I giovani iscritti alle università e le loro famiglie sono alla finestra in attesa di capire cosa succederà nei prossimi giorni.
La vicenda, tutta italiana, è giocata su ambiguità, attese e promesse che durano da oltre vent'anni e vede protagonisti governi di ogni colore politico. La figura del ricercatore universitario fu istituita nel 1980 rimandando a un successivo decreto la definizione del relativo stato giuridico. Da allora il silenzio. Nel frattempo si è sviluppata l'università di massa. Ed è intervenuta una riforma radicale dell'ordinamento didattico. È stato necessario moltiplicare il numero di insegnamenti. Non sono stati però moltiplicati i docenti. Si è dovuto ricoprire gli insegnamenti scoperti per supplenza, ricorrendo a docenti universitari, o per contratto, ricorrendo a esperti esterni. Le facoltà hanno chiesto ai ricercatori di farsi carico del problema didattico e di candidarsi per coprire gli insegnamenti privi di titolare. La facoltà di Scienza della Federico II eroga circa 700 corsi, di cui circa 250 sono coperti per supplenza o contratto, quasi tutti dai ricercatori. La facoltà di Ingegneria dello stesso ateneo offre circa 1150 insegnamenti, di cui circa 690 per supplenza e contratto. I ricercatori coprono circa 240 insegnamenti. E così via. Dunque, i ricercatori hanno il sacrosanto diritto a vedersi riconoscere il ruolo di docente che già svolgono da molto tempo. Il problema è: come? È merito di questo governo di avere finalmente riaperto il problema formulando una ipotesi di soluzione. Ma tra il limbo proposto dal governo, che cambia soltanto un'etichetta, a valle di una artificiosa procedura di idoneità, e la scorciatoia dell'ope legis, che non valorizza i meriti e le competenze dei singoli, ci sarà pure una via di mezzo ragionevole? Una via che possa essere ricercata con un confronto, anche aspro e serrato, tra le diverse posizioni? Un confronto che è stato già aperto dalla Crui, che il 6 ottobre ha chiesto al governo di sospendere l'iter parlamentare del disegno di legge. Se la richiesta verrà accolta, la vicenda non sarà chiusa in pochi giorni.
Che si fa nel frattempo? È sostenibile una forma di lotta che, proprio perché ha un impatto pesante sulle attività didattiche, non è adeguata per i tempi lunghi del confronto? L'anno accademico ha una tabella di marcia serrata, con pochissime flessibilità. Una settimana di ritardo nell'avvio delle attività può essere recuperata, due obbligano a rivedere in modo sostanziale il calendario delle lezioni. Tre settimane di ritardo creano difficoltà ancora maggiori. Nel frattempo, se già da domani i professori ordinari e associati e i docenti esterni andranno in aula, avremo una maggioranza di studenti che seguirà regolarmente i corsi, mentre una parte dovrà rimanere a casa, in attesa di eventi. È una situazione caotica che nessun ateneo si potrà permettere e che rischia di isolare la sacrosanta protesta dei ricercatori rispetto agli organi accademici, ai professori e agli studenti. Che non verrebbe capita dalla gente comune.
Non va dimenticato che il bersaglio della protesta è il decreto di legge-delega del ministro, e non la regolarità e l'efficacia dell'anno accademico. Se la mobilitazione man mano si spegne, perché insostenibile nel lungo periodo in forme così dure, i ricercatori rischiano di arrivare disarmati al momento decisivo, che non potrà che essere alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la Finanziaria.
L'altro scenario è quello solito degli ultimi vent'anni. Fra alcuni mesi non se parla più. Si continuerà a vivacchiare infelici e scontenti. Col diritto al mugugno.
giuseppe zollo