Repubblica/Napoli: Occupare la scuola? D’accordo, ma tutto l’anno
Franco Buccino
L’anticipo del freddo ha portato all’anticipo delle occupazioni delle scuole. Ne continuerei a parlare con tono tranquillo e qualche ironia, se non fosse che la prima scuola ad essere stata occupata è la mia.
A scanso di equivoci dico subito che la protesta degli studenti, per come sta funzionando la scuola, per la scarsa considerazione in cui è tenuta dal governo, per un futuro ancora più nero che le si prospetta, è ampiamente fondata e motivata. Si unisce alle proteste dei precari, eclatanti, disperate e spente da un decreto vergognoso che gli darà al più “un lavoro socialmente utile” o il punteggio senza lavoro. Si unisce alle proteste di questo autunno dei lavoratori della scuola, “riformati” loro malgrado, senza risorse per il contratto, senza neanche il diritto di rinnovare quest’anno le loro rappresentanze (se ne riparlerà, forse, l’anno prossimo). Si unisce alle proteste clamorose dei miei colleghi presidi, che qualche mese fa si incatenarono davanti al ministero di viale Trastevere a rappresentare il disagio delle scuole: e da allora le cose sono peggiorate di molto.
Si unisce la protesta degli studenti alle proteste del mondo della scuola, dando ad esse energia, forza, entusiasmo, efficacia. Protestano non solo gli addetti di un settore in crisi e in difficoltà, ma i destinatari del servizio. E ne hanno tutte le ragioni. Condannare la scuola alla povertà, alla semplice sopravvivenza, vuol dire condannare i ragazzi e il loro futuro. E i ragazzi non ci stanno ad essere trascurati ed emarginati. Contrabbandare per riforme riduzioni di orari, di spese e di personale è pericoloso: i ragazzi smontano il giocattolo e scoprono il trucco. E non ci stanno ad essere presi in giro. Hanno il diritto di protestare più degli altri anche per un altro motivo. Che è giusto che si conosca. Le scuole stanno funzionando in questi mesi grazie ai soldi che gli studenti versano all’atto dell’iscrizione. A scuola mia settantacinque euro a studente, ma scuole più blasonate si possono permettere di chiedere contributi ben più consistenti. Avrebbero bene il diritto i miei studenti di pretendere non dico laboratori (c’è una sola aula di informatica), non dico palestre (c’è uno scantinato quando non si allaga e un cortile quando non ci sono le macchine), ma almeno le aule. Ce ne sono 31 per 47 classi: cinque classi vanno all’itis, cinque alla ragioneria, altre sei ruotano, cioè rimangono a casa.
Eppure, io avevo chiesto agli studenti di non occupare. Senza alcun successo, evidentemente. Avevo chiesto di non occupare l’istituto e chiedo di lasciarlo libero per un paio di motivi più contingenti e uno più di fondo. La forza degli studenti è la rete, il collegamento, i grandi appuntamenti, le proposte e le piattaforme condivise. Protestare da soli è riduttivo. Cominciare con la protesta più clamorosa, da extrema ratio, nella stessa considerazione degli studenti, cioè l’occupazione, è sbagliato. Inoltre, nella vita delle scuole questo periodo è importante: si va alle elezioni dei rappresentanti di classe e, quest’anno, al rinnovo del consiglio d’istituto. È il tempo delle candidature, delle liste, della presentazione dei programmi, anche degli adempimenti che le regole della democrazia impongono. Non si può essere d’intralcio all’esercizio dei propri diritti.
Ma c’è un motivo più importante. La scuola non la si può occupare per alcuni giorni. È troppo riduttivo. Occorre occuparla per tutto l’anno. Anche d’estate, se è necessario. Non potete vivere un momento per voi esaltante, una giornata di festa, e poi tormare ai giorni feriali, alla vita scolastica di tutti i giorni, che vi vede inevitabilmente soccombenti. Non va bene: lascia disorientati voi ed anche noi. Dobbiamo costruire insieme, con più consapevolezza, e soprattutto non dobbiamo pensare solo a momenti comuni aggiuntivi: il famoso seminario di approfondimento o l’osservatorio paritetico. Dobbiamo entrare nel merito delle lezioni, delle attività extracurricolari, delle visite e dei viaggi d’istruzione, degli scambi culturali, delle attività di orientamento. E discutere anche, assieme a tutte le componenti, delle regole che ci diamo, che ci impegniamo ad osservare, e di cui pretendiamo il rispetto. È impegnativo. Lo so. Lo è anche per noi che per voi lavoriamo. Ma, sappiate che una scuola così, se la realizziamo insieme, non vi prepara a vivere, vi fa vivere. Ci fa vivere.