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Repubblica/Napoli:I bravi insegnanti salvano la scuola.

Franco Buccino

29/05/2008
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la Repubblica

Anche da noi gli alunni e le loro famiglie fanno di tutto per tenersi gli insegnanti più bravi. E se non scrivono al ministro, però vanno dal provveditore o sottoscrivono petizioni, quando in modo imprevisto un insegnante sta per andar via. Succede dalle materne ai licei; nelle scuole più note, che hanno sezioni richiestissime perché ci sono gli insegnanti più bravi, e in quelle di periferia, spesso illuminate da veri e propri animatori culturali, capaci di distogliere genitori attenti dalla tentazione di mandare i figli in scuole lontane dal loro quartiere. Nelle periferie tanti genitori, magari con modesta istruzione, intuiscono come può essere importante per i loro figli, esposti a vari generi di rischi, l’incontro con l’insegnante bravo. Un insegnante, un “mister” di calcio, un artigiano, un parroco, possono segnare e orientare definitivamente la vita di un ragazzo, come e più della droga, della malavita, della illegalità.
Anche le scuole fanno di tutto per tenersi gli insegnanti più bravi. Una volta avevano maggiori possibilità: per non far andar via l’insegnante in soprannumero, che spesso era anche il migliore, le scuole s’inventavano ogni genere di progetto didattico che giustificasse la risorsa in più; qualche scuola, ai limiti della norma, trovava il modo di conservare il posto perfino al supplente bravo e amato da tutti. Oggi, con la spietata politica di tagli del personale, la qualità e la continuità degli insegnanti sono divenuti inutili aggravi di spesa. Molto spesso alunni e bravi insegnanti non sono gli unici protagonisti di una buona scuola, con loro ci sono anche tanti capi d’istituto e tanto personale amministrativo, tecnico e ausiliario. A Barra, dove abito, ricordano ancora con ammirazione una preside che per tanti anni è venuta alla scuola media “Testa” ogni mattina da Posillipo con i mezzi pubblici per amore dei suoi ragazzi e del quartiere. Un’altra preside a San Giovanni, anche dopo essere andata in pensione, è rimasta con un’associazione di volontariato che s’interessa degli stessi ragazzi: su questa storia hanno girato perfino un film. E se le scuole sono un presidio di legalità sul territorio, questo presidio s’incarna innanzitutto in tanti bidelli, disponibili con gli alunni, inflessibili con gli estranei, soprattutto i malintenzionati. Sembrerà una descrizione deamicisiana della scuola napoletana e campana non solo a quanti pensano che i pubblici dipendenti siano fannulloni per principio e che i disservizi degli uffici e dei servizi pubblici dipendano solo da loro, ma anche a quanti apprendono dalla cronaca di ogni giorno di raid teppistici, di storie di esclusione, di ragazzi che inneggiano cinicamente a mafia e camorra, di alunni che non raggiungono il numero minimo di giorni di lezione, di scuole che non rispettano le norme di sicurezza, spesso a cominciare dagli edifici inadeguati che occupano. A parte i pregiudizi, tutti i problemi della scuola denunciati sono veri e drammatici: la scuola vive tutte le contraddizioni della nostra città e della nostra regione. E come potrebbe essere altrimenti. Ma la scuola ha la forza di continuare a vivere contro ogni logica, come il neonato buttato in un cassonetto che rimane saldamente aggrappato alla vita.
Solo le scuole possono celebrare a Napoli la fine dell’anno scolastico in questo maggio 2008 con recite, spettacoli, balletti, musica e balli come se niente fosse. Perché è la voglia degli alunni di andare avanti, una voglia che contagia tanti bravi insegnanti e altri operatori scolastici. “Fronne ‘e fenucchie, i’ piglie ‘a rivultella e t’ spare int ‘o renucchie” cantava a una recita di fine anno un giovanissimo improbabile guappo, che però durante i ritornelli fece i giri di ballo, il primo con la sua partner, poi, di sua iniziativa, il secondo con l’insegnante di italiano e l’ultimo con la signora Di Palma, la nostra bidella.


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