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Repubblica-Milano-Una professoressa e l'interprete nell'avamposto del futuro

IL RACCONTO Lo sportello del Provveditorato agli studi che aspetta (per ora inutilmente) le famiglie islamiche Una professoressa e l'interprete nell'avamposto del futuro C...

20/09/2005
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la Repubblica

IL RACCONTO
Lo sportello del Provveditorato agli studi che aspetta (per ora inutilmente) le famiglie islamiche
Una professoressa e l'interprete nell'avamposto del futuro
Ci sono una professoressa gentile che da dieci anni segue e "sistema" gli stranieri, con i loro problemi, tanto da fare di Milano un avamposto del quale il ministero dell'Istruzione dovrebbe andare fiero. E un interprete, che nonostante il deserto e il silenzio nella sua stanza nel seminterrato, tiene i fogli ordinati e la luce accesa, come se da un momento all'altro, da via Quaranta, potesse arrivare un padre, una madre, un insegnante. Passano i minuti, le mezzore, all'improvviso ecco spuntare due uomini. Egiziani. Di mezz'età. Sono le 18.15, la custode del Provveditorato si agita: vogliono parlare dei corsi di arabo. Indica la strada per lo "sportello bilingue". Ma - sorpresa - non sono di via Quaranta. "I miei figli - dice uno dei due, all'uscita - ci andavano quattro anni fa, ora non più. Ma siccome ho sentito che per quelli di via Quaranta faranno un corso di arabo nella scuola statale, ecco, volevo chiedere se c'era la possibilità di fare una cosa simile anche nelle scuole dove vanno adesso", sorride il papà calvo e dall'aria stanca, accompagnato da uno magro, che parla un po' meglio di lui l'italiano.
Una circolare è già stata inviata agli insegnanti e tante lettere sono state spedite alle famigli. In via Ripamonti aspettano che qualcuno si presenti nei prossimi giorni
Rosi Spadaro responsabile del settore intercultura: "Gli egiziani nelle classi milanesi sono 2450, quelli che parlano arabo sono più di seimila"
PIERO COLAPRICO


(segue dalla prima di cronaca)
Da via Quaranta non è arrivato nessuno, ma in compenso l'aiuto che s'è deciso di offrire ai 500 studenti della scuola chiusa dal Comune tra le polemiche, le proteste, la propaganda politica e religiosa, potrebbe avere un risultato imprevisto: e cioè far estendere le lezioni di arabo in moltissime altre scuole, dove già adesso i corsi di lingua e cultura araba, quando ci sono, sono frequentatissimi.
La situazione, vista dalla prospettiva di questa stanza al piano "meno uno", ricorda - è persino facile - il clima descritto dal Deserto dei tartari. I due incaricati sono in una stanza quadrata, tra scatoloni e computer, i pavimenti sono lucidi di pulizia. E, sarà per il fatto che il palazzo del Provveditorato ha un aspetto ostile come non pochi edifici pubblici, sarà perché il resto del palazzo è semivuoto, aspettano con trepidante efficienza che l'orologio segni le 19. Guardano fuori, ma via Ripamonti è grigia, e i passanti rarissimi.
Il primo giorno è trascorso così. Ma sempre da quaggiù, stando insieme ai due incaricati, si capisce che nella fortezza burocratica dell'assessorato non è così importante stabilire se la scuola di via Quaranta sia stata una vera scuola o se sia stata una sedicente scuola che poco o nulla ha a che fare con l'insegnamento. Non si sta a giudicare, qui sotto il livello della strada, se i genitori di via Quaranta siano un'accozzaglia (velleitaria e manovrata) di piccolo borghesi ignoranti o invece un gruppo di gente che, in nome delle proprie radici, chiede soltanto dignità. Non si fanno ragionamenti: qui si aspetta.
Certo è che la professoressa Rosi Spadaro, responsabile del settore "Successo formativo e intercultura", con l'aria pacata e vissuta di chi nella scuola ha sofferto e resistito a lungo per farla funzionare un po' meglio, preferisce prendere un grafico: "Gli egiziani che frequentano le scuole di Milano sono 2.450. Quelli che parlano arabo sono oltre seimila". Il dato, nudo e crudo, allarga un po' la visuale. Viene perciò spontaneo domandarsi che cosa vogliano esattamente quei 500 bambini e adolescenti di via Quaranta, che vogliono, cioè, i loro genitori. Sono un ottavo, rispetto al resto degli egiziani che stanno nelle scuole statali. Sono un ventesimo degli studenti che hanno come lingua madre l'arabo. Perché rifiutano la scuola statale?
Pare che qualcuno, tra i genitori impegnati nella protesta, abbia smesso di tergiversare e abbia telefonato per chiedere maggiori informazioni. C'è chi dice che si siano fatte vive un paio di persone. C'è chi parla, forse esagerando, di dodici telefonate. Pare che cinque famiglie si siano rivolte alle scuole statali più vicine a casa, per formalizzare l'iscrizione, chissà. "Le cifre le diremo alla fine" dicono in via Ripamonti. Per il momento la scelta largamente maggioritaria di via Quaranta è chiara: meglio la lezione di arabo in strada che andare in un'altra scuola "europea". Ma se questi atteggiamenti rappresentino un'avanguardia o una retroguardia, è difficile da stabilire. Qui, sotto il neon, con il rumore dell'orologio come sottofondo nei rari momenti di pausa traffico, non pare nemmeno interessare.
Da quaggiù si vede soltanto una cosa: ci sono, con la chiusura dell'istituto islamico, altri ragazzi da collocare nelle scuole, bisogna farlo al meglio della possibilità offerte dal ministero della Pubblica Istruzione, offerte da Milano, che è sempre stata "avanti" rispetto a tanti altri distretti scolastici. Quindi, la circolare nelle scuole, le lettere alle famiglie e la lunga attesa. Quaggiù non esiste politica, se non in senso lato: "Abbiamo mandato queste lettere con tutte le spiegazioni e con la traduzione in arabo a tutte le famiglie e alle scuole del circondario con una nostra proposta molto seria. Garantiamo - dice la professoressa Spadaro, e a sentirla parlare viene da crederle - l'insegnamento della lingua italiana, l'aiuto al mantenimento della conoscenza della lingua araba, la facilitazione all'eventuale preparazione agli esami presso il consolato egiziano, aiuti alle scuole statali a cui verranno iscritti gli alunni e, in via eccezionale, anche la facoltà di ricorrere alla cosiddetta istruzione paterna...".
Tutto questo viene spiegato allo "sportello bilingue", nella stanza "A 14", avamposto di un mondo che si sta costruendo, con qualche fatica, ma anche con qualche speranza, almeno con la speranza che qui sotto si percepisce.


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