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Repubblica-Milano-Lo scantinato della vergogna "Noi, precari senza speranza"

IL RACCONTO Code e bivacchi nei corridoi di via Ripamonti in attesa della chiamata Lo scantinato della vergogna "Noi, precari senza speranza" "Il risultato sarà lavoro so...

04/09/2004
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la Repubblica

IL RACCONTO
Code e bivacchi nei corridoi di via Ripamonti in attesa della chiamata
Lo scantinato della vergogna "Noi, precari senza speranza"
"Il risultato sarà lavoro solo per un anno e la sorpresa negli elenchi è che adesso invece di andare avanti si va indietro"
"Quando finalmente qualcuno sussurra il tuo nome, devi decidere in pochi minuti se accettare una sede che magari è chissà dove"
ANNA CIRILLO


Ci sono cose che non si vorrebbero sentire in questo enorme sotterraneo un po' sporco, piano meno 1 del provveditorato, dove la moltitudine di gente che aspetta da ore per sapere se anche quest'anno avrà o no un posto da insegnante precario nella scuola si siede sulle scale, bivacca in piedi, agguanta appena può le poche sedie spaiate, in legno, in plastica, o reperti archeologici dai mercati dell'usato con la tappezzeria piena di macchie d'unto. Dove le mamme si portano i figli, li allattano perché alcuni hanno solo pochi mesi, e dove ogni tanto spunta qualche sparuta funzionaria e con voce flebile e inudibile chiama dei nomi. Nella calca tutti tendono le orecchie per riuscire a sentire se il nome è finalmente il loro. "Ma che ha detto? Che nome ha fatto?", dicono in molti nel caos e nel vociare indescrivibile, con la paura di saltare la chiamata, il turno, in un misto di rassegnazione e rabbia che accompagnava anche ieri mattina, a cinque giorni dall'inizio della scuola, centinaia di precari accalcati in via Ripamonti. L'aria è da svenimento e il caldo da sauna perché il seminterrato non ha finestre, ma solo, sul soffitto, cupolette bianche di plastica che amplificano i gradi come farebbe un forno a microonde. L'aria condizionata è un sogno. A Jacopo, un anno e mezzo, che è qui con la mamma e scorrazza, hanno levato la maglia lasciandogli solo pantaloncini e pannolino. E la spazzatura adesso si butta per terra, carte di panini, bottiglie di plastica e bicchieri, avanzi di cibo, vicino ai cestini già colmi e troppo piccoli per questa folla in attesa.
Non si vorrebbe sentire quel che dice Massimo, 35 anni, marito di Silvia, 34, che ha accompagnato la moglie: "Siamo bestie, bestie che aspettano il pane". Lei insegna da 13 anni alle materne, è la sua prima volta a Milano, arrivata da Palermo "per cercare di trovare un posto migliore. Ma tutto il mondo è paese - dice guardandosi intorno - credevo di trovare a Milano più organizzazione, più comfort, non questa bolgia". "Si racconta che il nord è più efficiente, ma lo Stato è questo, in qualsiasi regione lo Stato è uno schifo - aggiunge lui -. Stare qui in queste condizioni significa aspettare di avere un lavoro e solo per un anno, per mangiare, con gente che ormai ha anche una certa età e resterà precaria a vita". Teresa, 45 anni, che lavora da quando ne aveva 20 nelle materne, è arrivata dalla Calabria stamattina con il treno delle 7 e ha lasciato giù marito e tre figli di 15, 11 e 5 anni. "Lo Stato dovrebbe solo vergognarsi delle leggi che fa. Nelle graduatorie adesso la sorpresa è che invece di andare avanti si va indietro. Sono molto arrabbiata e delusa. Io non spero più". Da 4 anni insegna a Milano, casa in affitto da 750 euro al mese, condivisa con altre come lei "se no chi ce la fa, chi se lo può permettere?". Ogni anno fa questa trafila per sapere se avrà o non avrà il lavoro. Come Lidia, 40 anni, e la sua amica Miriam, maestre elementari dal 1986. "La signora Moratti dice tante belle cose in tv ma è questa la realtà e vorrei che venisse qui a vedere quello che stiamo vivendo. È umiliante stare in queste condizioni, è una angoscia non sapere se e dove si lavorerà, cambiare colleghi ogni anno e cominciare a pensare già a giugno alle graduatorie, a che posto occuperò. Si vive male. Noi abbiamo 40 anni ma se si guardano le graduatorie c'è gente nata nel 1947 e che è ancora precaria". "Va sempre peggio, siamo scoraggiati", dice Domenica, 35 anni, insegnante di inglese. "Siamo stati convocati alle 9 per la mia classe di concorso ma l'appello è cominciato alle 11". È andata meglio rispetto a quanti insegnano italiano alle superiori: ieri per loro la ressa era incredibile e fino a mezzogiorno non è arrivato l'elenco delle disponibilità. "Il che significa che devi decidere dove insegnare per un anno nei pochi minuti che si hanno a disposizione quando si verrà chiamati, siamo tutti inviperiti per questo", spiega un'altra insegnante. Domenica che aspetta un posto da precaria di inglese spiega che ha convinto per due anni il marito a seguirla a Milano, "ma stavolta lui resterà giù al sud e io, se mi danno il posto, qui con mio figlio di tre anni". Come farà, da sola? "Non lo so". Una coppia studia la mappa dell'hinterland e contemporaneamente spulcia la lista delle disponibilità. "Stiamo cercando di capire dove sono le scuole fuori Milano perché non possiamo permetterci di vivere in questa città, costa troppo", racconta Maria Rosetta che fino allo scorso anno insegnava a Como "ed era veramente diverso, le convocazioni non le facevano così. Avevamo una stanza, tutti i precari potevano sedersi, comodi. Una persona con un microfono ci chiamava, ad uno ad uno. Non come qui. Sulle porte che si aprono su questo scantinato non c'è neppure l'indicazione della classe di concorso, della materia".


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