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Repubblica/Milano: La dura vita del ricercatore "Nulla è più bello della scoperta"

Oggi alla Statale di via Festa del Perdono la Notte bianca della scienza

22/09/2006
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la Repubblica

Chiara, 12 ore al giorno tra gli esperimenti per poco più di 1000 euro al mese

"Ci sono dei malati che aspettano i risultati del mio lavoro. Quando sono in laboratorio mi basta pensare a questo per impegnarmi di più"

TERESA MONESTIROLI

Ricercatrice a trentaquattro anni, un successo nell´università italiana dove il posto fisso si intravede a quarant´anni. Poco più di mille euro al mese di stipendio, un marito commercialista molto paziente e solidale e una famiglia che l´ha sostenuta economicamente. Dodici ore al giorno in laboratorio a trafficare con le provette e i fine settimana sui libri per gli aggiornamenti. Vita dura quella del ricercatore, «ma bellissima, non la cambierei per nessun altro lavoro, neanche più remunerativo» spiega Chiara Zuccato, ricercatrice al dipartimento di Scienze farmacologiche dell´università Statale dove studia le malattie neurodegenerative, in particolare la Corea di Huntington, ancora incurabile.
Il ricercatore è un mestiere che ha sempre meno appeal sui giovani, anche perché spesso gli studenti non sanno di che cosa si tratta.
«Per me è il lavoro più bello del mondo, fatto di intuizioni, ricerca sul campo e gioco di squadra».
In cosa consiste il suo lavoro?
«Sto in laboratorio per la maggior parte del tempo, in media dieci-dodici ore al giorno, a fare gli esperimenti. Poi elaboro i dati, scrivo, chiedo finanziamenti, discuto con i colleghi. Lavoro in un pool di venti ricercatori in cui c´è molto confronto. Ogni idea viene discussa, criticata, affrontata insieme. Questo rende molto viva, e credo produttiva, la nostra giornata».
Come nasce una ricerca?
«Da un´idea che prima viene messa in discussione, criticata e modificata, poi si cerca di confermarla con gli esperimenti di laboratorio, ed è la parte più divertente. Il ricercatore infatti fisicamente verifica se le sue intuizioni sono corrette».
Quanto dura la ricerca?
«Non ha un tempo stabilito. Di solito qualche anno. Capita che per anni non si trovi niente poi improvvisamente, grazie a un´intuizione, si imbocca la strada giusta e si raccolgono i dati velocemente, che per noi significa comunque qualche mese. È un lavoro che richiede pazienza, costanza, metodo e molta cura per i dettagli».
Non vi scoraggiate mai?
«Certo, ci sono momenti duri in cui si brancola nel buio. Ma è importante, quando si inizia, mettere in conto che l´ipotesi di partenza possa essere sbagliata, oppure non verificabile. Bisogna sempre avere una strada alternativa. Quando la ricerca è in stallo, lo stimolo di solito arriva dalla discussione con i colleghi».
E quando si arriva al risultato?
«È il momento più emozionante perché ti rendi conto che sei la prima persona al mondo a vedere concretizzata la tua idea».
Ci è mai arrivata?
«Due volte, è stata una soddisfazione enorme».
Se non avesse avuto un posto da ricercatrice a Milano sarebbe andata all´estero?
«Certo, se non ce l´avessi fatta qui sarei andata altrove. Sono stata molto fortunata ad avere un contratto a otto anni dalla laurea, ma garantisco che la ricerca si può fare bene anche qui».
E i finanziamenti? Tutti lamentano la mancanza di soldi.
«Sono insufficienti, è vero. Ma ciò che manca di più in Italia è la valutazione del lavoro svolto. Nel mio caso l´80 per cento dei soldi arriva dagli Stati Uniti e dal Telethon: entrambi chiedono il rendiconto di quello che faccio, come tutti gli enti che investono in ricerca all´estero. È uno stimolo per lavorare bene».
Da anni le facoltà scientifiche fanno fatica ad attirare gli studenti e il mestiere del ricercatore viene preso poco in considerazione perché considerato troppo duro e poco remunerativo. Cosa direbbe a un giovane che vuole seguire la sua strada?
«Di fidarsi della sua passione. È un mondo difficile e pieno di ostacoli; si rischia di rimanere precari per molti anni, lo stipendio non è un granché, ma dà una soddisfazione che vale più di tutti i soldi del mondo. Ci sono dei malati che aspettano il risultato del mio lavoro, ogni piccolo risultato contribuisce a capire meglio la loro malattia e a trovare una possibile cura. Quando sono in laboratorio mi basta pensare a questo per impegnarmi di più».
Cosa fa quando non lavora?
«Mi dedico alla mia famiglia, anche se di tempo libero ne ho davvero pochissimo. Il lavoro mi appassiona tanto che ho rinunciato facilmente a hobby e viaggi. Mi è rimasta la lettura, amo soprattutto la letteratura inglese».


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