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Repubblica/Milano:Bullismo, la scuola come un set "Noi, violenti per diventare famosi"

Prepotenza e popolarità. "I prof? Sanno tutto ma non ci fanno caso"

04/04/2007
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la Repubblica

In certi istituti diventi qualcuno "almeno se tieni i piedi sul banco"
Difficile piegare un ribelle che trasforma le sanzioni in medaglie
La minaccia: "O baci una ragazza davanti a noi oppure sei un frocio"
Il preside dell´Ipsia di Saronno: "Abbiamo invitato mille genitori ne sono venuti 27"
I casi di violenza hanno un comune denominatore "L´eclisse degli adulti"

MICHELE SMARGIASSI

MILANO - C´è un´isola dei famosi in ogni scuola, forse in ogni classe. Guai a chi c´incappa: rischia di naufragare. Approdarci non è da tutti, bisogna esibire certe qualità. C, 12 anni, prima media, è fortunato: «Io gioco bene a calcio e piaccio alle ragazze», così non deve «cercare rissa» per diventare famoso. Invece nella scuola di V, 17 anni, istituto geometri, per diventare famoso devi almeno «tenere i piedi sul banco durante la lezione», ma è più facile se fai come quello che «rutta in faccia al prof». E il prof? «L´ha fatto sospendere per due giorni, ma quando è tornato era più famoso di prima, gli hanno fatto l´applauso». Come è dovuto ai famosi.
Noi li chiamiamo "bulli". Ma è un´etichetta inventata da noi adulti per far credere che abbiamo compreso il fenomeno. Invece è probabile che non abbiamo capito un bel niente. C e V non dicono "bulli". Dicono: "i più famosi della scuola". C e V sono due ragazzi "presi in carico" dal Centro terapia dell´adolescenza di Milano. Hanno entrambi storie pesanti di bullismo da riparare. Uno come bullo, uno come vittima. Ma senza sapere chi è l´uno e chi è l´altro sono indistinguibili. Perché C e V nuotano nello stesso brodo maleodorante. Volenti o nolenti s´adeguano agli stessi disvalori. «Da noi», racconta C, «quelli di terza mettono in fila i primini, poi fanno a gara di sputi, chi viene colpito deve fare un passo indietro, è una specie di flipper». «Da noi», racconta V, «quelli famosi si fanno "prestare" i soldi senza restituirli, o pretendono le merende, mica per mangiarsele, solo per far vedere che sono potenti». Ripeto: e i prof? «È inutile, sanno tutto ma non ci fanno caso. Dicono solo: imparate a farvi rispettare». Dall´inizio dell´anno, V è accolto a scuola dagli sberleffi della sua isola dei famosi, «frocio-frocio». Non è certo il solo: secondo l´Arci-gay, più di metà delle vittime si sente apostrofare così. V è un ragazzo tutto sommato ottimista e paziente, però quando l´hanno incantonato, «bacia una ragazza davanti a noi oppure sei frocio», non ne ha potuto più, «Perché fanno così? Sono andato a dirlo alla prof, mi ha risposto ‘ma dài, non te la prendere, sono dei bambocci´, poi s´è girata e ha continuato a scrivere al computer».
Di storie così Francesco Vadilonga, psicoterapeuta del Cta, ne ha ascoltate a centinaia, compresa quella emblematica di D, che estorceva accessori griffati ai compagni ma era a sua volta bersaglio di insulti razzisti, anello mediano della catena bullo-vittima-bullo. Non racconta casi clamorosi, le violenze da codice penale che bucano le cronache e impensieriscono le procure: ma sorde tirannie quotidiane, ossessive, esasperanti, ripetute per mesi. Hanno tutte un comune denominatore: «L´eclisse degli adulti. Non l´assenza, perché i professori reagiscono, ci sono punizioni. Eppure, per gli studenti, gli adulti restano presenze pallide, distratte, disinteressate a quel che accade davvero tra i banchi». Le storie che i ragazzi scrivono sui giornalini online (sul portale La fragola di Repubblica.it) sembrano ambientate in comunità di soli minorenni: dalla famigerata scala antincendio della scuola Sordi di Roma che sembra la stradetta dove i bravi aspettano don Abbondio, al ragazzino «preso in giro da tutti» nelle medie di Arbus, a cui «non si trova una classe», fino al grido di dolore della Boccaccio di Certaldo: «Gli adulti non vengono mai a sapere». Quando lo sanno, spesso smorzano, come il preside dell´istituto di Monselice dove in novembre furono girati video di imbarazzanti beffe ai professori: «Non è bullismo, solo un caso di particolare esuberanza, un momento di vivacità, seppur esagerata».
Adulti e ragazzi condividono gli stessi spazi, ma vivono in mondi diversi. Quello dei ragazzi, come nel Ponte per Terabithia, film sul bullismo sotto un velo di fantasy, è popolato da figure spaventose che gli adulti non vedono, tranne quando un video irrompe su YouTube, e allora il mondo dei grandi esplode d´indignazione o di fastidio, oscillando tra l´allarme di Prodi e Napolitano («prove di forza che sono prove di viltà») e la prudenza infastidita del ministro Fioroni («Basta col tritacarne mediatico, siamo in presenza di cifre irrisorie»). C´è, in verità, un piano anti-bulli del ministero, con simpatici adesivi, spot, blog, numero verde e sostanziale delega alle scuole; ma inizia proprio buttando acqua sul fuoco: «I fatti di bullismo, talvolta eccessivamente enfatizzati dai media...».
Dovremmo invece essere grati ai cellulari. I video violenti e disgustosi, palpazioni di natiche docenti, sberle ai disabili, astucci contundenti, sono almeno feritoie che ci permettono di sbirciare in un mondo altrimenti invisibile. I cui protagonisti sono tre: i carnefici; le vittime; e l´audience. Le classi funzionano come un circuito mediatico. Chi "gira" i video? Non i bulli, ma la troupe dei vice-famosi, la corte che circonda i prepotenti e vive di luce riflessa. È l´omaggio dei gregari ai capi, e funziona solo perché c´è, un gradino sotto, la platea anonima che guarda e gradisce lo show, l´auditel che decreta il successo del "famoso" di turno. A Saronno da cinque anni l´Ipsia "Parma" (cartelli con le "regole" nei corridoi, tutor di classe) affronta i prepotenti studiando i "normali". I loro valori. O disvalori. «Tredici ragazzi su cento trovano normale offendere un coetaneo. Per 12 non è grave tenersi i soldi avuti in "prestito". Per 9 è giustificabile picchiare un compagno», elenca senza entusiasmo il professor Mauro Pasqua, responsabile del "Progetto bullismo". «È su questa base etica che i prepotenti costruiscono la loro popolarità». Fama, celebrità: ecco i nomi corretti del bullismo. Il suo vero fine. La prepotenza è solo il mezzo. Un´indagine della Società italiana di pediatria rivela che per l´84% degli adolescenti i bulli diventano tali «per essere ammirati». «Cercano di emergere da una massa in cui evidentemente temono di non valere nulla», continua Pasqua, «non a caso i problemi più gravi li abbiamo nelle prime classi, dove i ragazzi non si conoscono e cercano di affermare un´identità visibile, nel bene o nel male. La prepotenza è un biglietto da visita».
Farsi riconoscere. Essere additati con rispetto. Il quarto d´ora di celebrità di Warhol: «Se non hanno nient´altro da mostrare», insiste C, «diventano famosi facendo paura». Le regole? «Spesso sono regole stupide, fatte per essere sfidate. Da noi», C scuote la testa, «è vietato correre lungo le scale, e c´è chi corre apposta per far vedere che non ha paura dei prof». Difficile piegare un ribelle che trasforma le sanzioni in medaglie. Se l´Osservatore romano invoca più severità, a Saronno hanno iniziato a sostituire le sospensioni con lavori utili, corsi obbligatori, attività di studio: «Inutile mandarli a casa a rimbambirsi con la tivù». Bisognerebbe forse smontare il giocattolo dall´interno, togliere ai "famosi" l´ammirazione che sta alla base del loro prestigio, ma un "famoso" umiliato può reagire in modo tutt´altro che ingenuo: «I video girati in classe spesso sono un´arma impropria di vendetta contro i professori», ha avvertito la direttrice scolastica regionale del Veneto, Carmela Palumbo.
Bisognerebbe lavorare con le famiglie. «Ma è difficile», sospira il preside dell´Ipsia di Saronno, Alberto Ranco, e racconta che «all´assemblea sul bullismo abbiamo invitato mille genitori, ne sono venuti ventisette. Comincio a pensare che le famiglie facciano parte del problema più che della soluzione». «Sospendere i violenti vuol dire rimandarli nell´ambiente che ha prodotto la violenza», ha esclamato l´assessore pugliese Silvia Godelli a un convegno sul bullismo organizzato a Bari, città dove un preside è stato picchiato dai genitori di un alunno. Eppure i bulli non sono il prodotto automatico del disagio domestico. «Se tutte le famiglie difficili generassero bulli», dice Ranco, «avrei i carabinieri a scuola ogni giorno». Dev´esserci qualcosa, nel microcosmo scuola, prima esperienza sociale degli adolescenti, che amalgama in modo imprevedibile la «quantità spaventosa di schifezze», per dirla con Marco Lodoli, di cui i quindicenni vengono riforniti dalla tivù e dai miti collettivi. Per gli studenti qualunque, la scuola è un luogo di tensioni: due mesi fa un questionario del Minghetti, prestigioso liceo classico di Bologna, ha svelato che otto studentesse su dieci, tra i banchi, soffrono di ansia, stress, panico, tachicardia, vomito. Per i bulli, invece, andare a scuola è gratificante: è il loro palcoscenico, senza copione da rispettare. Viene in mente Il signore delle mosche, romanzo anti-russoiano di William Golding: l´isola dei bambini senza adulti e la sua feroce legge naturale. La scuola, allora, è la nicchia ecologica dove un nuovo oggetto sociale, l´adolescente senza qualità, elabora in solitudine una nuova etologia morale. In realtà un´antica morale, che C riassume così: «Sei famoso se tieni gli altri sotto di te».
5. continua


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