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Repubblica-Meno tasse e più problemi

Meno tasse e più problemi VINCENZO VISCO La riduzione dell'imposta sul reddito decisa dal governo è di modesta entità e al tempo stesso eccessiva per lo stato della nostra finanza pubb...

27/01/2005
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la Repubblica

Meno tasse e più problemi

VINCENZO VISCO

La riduzione dell'imposta sul reddito decisa dal governo è di modesta entità e al tempo stesso eccessiva per lo stato della nostra finanza pubblica. Tuttavia l'intera vicenda è stata una utile opportunità di chiarimento delle posizioni e visioni della destra e della sinistra in materia di tassazione.
Dal dibattito delle scorse settimane è emerso che per la destra la riduzione delle tasse è un obiettivo ideologico prima ancora che economico o politico. Si tratta infatti di "ridurre il perimetro di Stato", di liberare spazi di azione e opportunità di iniziativa per il mercato, e quindi di sostituire progressivamente servizi pubblici con servizi privati offerti dal mercato. In tale contesto ? come ha ricordato il presidente del Consiglio ? è bene ridurre le tasse soprattutto alle categorie che nel mercato rappresentano gli attori principali: gli imprenditori, i dirigenti d'azienda, i professionisti..., cioè a quelli che, sinteticamente, nella polemica politica sono definiti come "i ricchi".
Visto da sinistra questo approccio appare non solo poco convincente, ma anche stravagante. A sinistra si preferisce, infatti, adottare una visione più realistica e pragmatica; si ritiene quindi che le tasse devono essere le più basse possibili, compatibilmente con le necessità e i bisogni che la società liberamente esprime in relazione alla domanda di servizi collettivi, alle esigenze di redistribuzione del reddito, alle politiche di coesione sociale, e alle politiche industriali e di sviluppo. Ciò significa che è bene realizzare la massima efficienza del settore pubblico, anche per ridurre la tassazione, ma non perdendo di vista il benessere collettivo, l'equità, ecc. La tassazione quindi è vista non come un totem (in positivo o in negativo), ma più semplicemente come strumento per realizzare fini condivisi.
Ciò chiarito, ci si può chiedere quali siano oggi i margini effettivi per una riduzione della tassazione che non pregiudichi gli equilibri di bilancio e la necessità ? assolutamente prioritaria ? che il nostro altissimo debito pubblico si riduca. Le strade che si possono seguire sono due: a) un recupero di efficienza nella spesa pubblica che consenta la sua riduzione; b) la riduzione e la privatizzazione dei servizi pubblici fondamentali.
Sul primo punto si può essere tutti d'accordo; sul secondo, ovviamente no. Ma a parole neanche la destra dice di voler ridurre i servizi, anche se l'espressione "riduzione del perimetro dello Stato" significa esattamente riduzione della fornitura pubblica di servizi divisibili che possono essere prodotti anche dal mercato (sanità, istruzione, previdenza?).
In ogni modo se non si vogliono tagliare i servizi e si insiste tuttavia sulla riduzione della tasse occorre considerare la struttura del bilancio pubblico italiano. Su una spesa pubblica pari a circa 48 punti di Pil, 3 (almeno) sono finanziati in disavanzo, altri 2-3 con entrate non tributarie e 42 con imposte e contributi. Si dà il caso, tuttavia, che la spesa pubblica italiana presenta caratteristiche particolari di rigidità: infatti circa 13-14 punti di Pil vanno alle pensioni e 5-6 al pagamento di interessi: si tratta quindi di 20 punti di Pil di spesa derivanti da impegni (debiti) assunti nel passato, laddove per le stesse categorie di spesa gli altri Paesi europei erogano mediamente 5 punti in meno. In altre parole l'Italia già oggi destina risorse molto minori degli altri Paesi europei ai servizi pubblici: "il perimetro dello Stato" è già oggi più ridotto che nel resto dell'Europa. Ciò spiega la estrema difficoltà di ridurre le tasse nel nostro Paese, e il cul de sac in cui si trova oggi la politica economica del governo stretta tra patto di stabilità, finanza creativa e promesse elettorali. Ciò spiega altresì perché i cittadini italiani ritengono di pagare troppe tasse rispetto ai servizi pubblici che ricevono: il che è assolutamente vero, ma ? a parità di pressione fiscale con gli altri paesi europei ? dipende soprattutto da quei 5 punti di Pil sopra ricordati.
E del resto non è affatto vero che il settore pubblico italiano sia ipertrofico: esso è inefficiente, ma non sovradimensionato, il numero di dipendenti pubblici in Italia è infatti inferiore, e non di poco, a quello dei principali paesi europei.
Il non aver voluto o non essere stati in grado di spiegare fino in fondo all'opinione pubblica quale è la reale situazione delle finanza pubblica italiana, o averla addirittura rimossa o negata ? è una manifestazione di irresponsabilità che può costare molto cara al nostro Paese.
Esiste una via di uscita da questa situazione? Probabilmente sì; si tratta di recuperare gettito dall'evasione fiscale per ridurre contestualmente l'imposizione. In proposito, basta guardare a cosa avvenne su questo terreno durante i governi di centrosinistra: infatti dopo il risanamento, tra il 1998 e il 2001, grazie al recupero di evasione, elusione ed efficienza della amministrazione finanziaria, fu possibile sopprimere 24 tra imposte, tasse e contributi, e, mentre le aliquote delle diverse imposte rimanevano costanti o venivano ridotte, fu possibile diminuire l'imposizione per un ammontare pari a 4,5 punti di Pil e, al tempo stesso, mantenere costante il prelievo fiscale complessivo rispetto al Pil. Non esistono altri precedenti nella storia economica dell'Italia del dopoguerra di un tale miglioramento della "Tax Compliance".
Su questo terreno c'è ancora molto da fare, anche perché la situazione si è capovolta con il nuovo governo, ed è in verità grottesco assistere alla pantomima di chi, dopo aver proposto e realizzato 15 condoni, predica adesso ? a parole ? la lotta all'evasione.
Infine le priorità. Se si creano spazi per una riduzione fiscale, che nella disastrata situazione attuale del bilancio pubblico appaiono del tutto virtuali, [tanto più che l'attuale governo ha fatto crescere non di poco (1,5 punti) la spesa corrente primaria, e crollare le entrate ordinarie (1 punto)], le priorità sarebbero nell'ordine: a) la riduzione del costo del lavoro operando sull'Irap; b) la tassazione delle imprese che va mantenuta ai livelli medi dei paesi concorrenti e possibilmente ulteriormente abbassata; c) il sostegno dei redditi più bassi e dei carichi familiari secondo lo schema prospettato nella controproposta fiscale del centrosinistra. Più o meno il contrario di quanto sta facendo oggi il governo. Per quanto riguarda le spese, è possibile recuperare gradualmente gli sfondamenti operati dal governo in questi anni, migliorare l'efficienza della P. A. e quindi realizzare ulteriori risparmi, e persino ridurre moderatamente la stessa pressione fiscale, ma tagli ai servizi non sono accettabili, essi andrebbero, al contrario, migliorati.
È praticabile una tale politica? La risposta è affermativa. Essa è stata già praticata in passato, e può essere ancor di più realizzata in futuro.


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