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Repubblica: Ma nelle nostre università bisogna rilanciare i giovani

SALVATORE SETTIS

16/01/2007
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la Repubblica

Ringrazio il ministro Mussi per aver prontamente risposto al mio intervento su università e ricerca, chiarendo i suoi progetti sul futuro dell´università italiana. Secondo l´analisi del ministro, l´università italiana è caratterizzata da una struttura non "a piramide" come altrove bensì "a clessidra", con 20 mila ordinari, 19 mila associati e 22 mila ricercatori, e per giunta un´età media assai alta (per gli ordinari, 60 anni). Inoltre, una gran parte del lavoro nelle università è svolto da ricercatori (di ruolo) con insegnamenti svolti per affidamento (precario e spesso non pagato), nonché da ricercatori a tempo determinato (precari). Per correggere questa situazione anomala, il ministro ha in mente di trasformare i ricercatori ora in servizio in terza fascia docente e di sostituirli con nuovi ricercatori lanciando un piano straordinario di reclutamento. Tanto giusta è l´analisi, quanto sbagliata è la soluzione.
Come risulta da uno studio di Paolo Rossi, l´età media di accesso alle carriere negli ultimi anni è cresciuta in modo costante, di 5 mesi l´anno per gli ordinari, 3 per gli associati e 2 per i ricercatori. Ciò vuol dire che nel 1965 si diventava ordinario in media a 35-38 anni, nel 1980 a 42-46 anni, nel 2005 a 53-59 anni. Ha ragione Mussi, questa situazione va capovolta, e non solo per ragioni demografiche o sociologiche ma perché il costante innalzamento dell´età vuol dire che ormai nelle università vige la promozione per anzianità, cioè l´esatto opposto del criterio esclusivo del merito che domina nei Paesi più avanzati. Ma quale è il rimedio? Per ringiovanire il corpo docente, è necessario e urgente non collocare i giovani al livello più basso della carriera, bensì consentir loro l´accesso immediato ai livelli più alti di responsabilità e di salario. L´istituzione della terza fascia è un´illusione ottica: in apparenza "premia" i ricercatori con incarico, rietichettandoli come professori, ma in realtà nel riconoscerne l´anzianità li confina a classi stipendiali basse e ne blocca ogni possibilità di carriera. Il fatto che l´età media di ordinari e associati sia oggi così alta è negativo, ma ha un aspetto positivo: molti di essi (di noi) andranno in pensione nei prossimi anni (è quello che Sylos Labini e Zapperi hanno chiamato "lo tsunami dell´università italiana", che ne svuoterà i ruoli di qui a 10 anni), o potrebbero essere incoraggiati a farlo con qualche anno di anticipo da apposite misure. Un sistema basato esclusivamente sul merito dovrebbe riportare a 30-35 anni l´età media di accesso dei migliori alle posizioni di ordinario e di associato. Viceversa, una morale sociale che interdice ai giovani l´ambizione di guadagnare la posizione più alta garantisce la selezione alla rovescia. Se i trentenni più brillanti si sentono dire che la loro massima aspirazione è diventare ricercatore e poi professore di terza fascia, non occorrono grandi doti profetiche per predire che se ne andranno in Paesi più lungimiranti. Il progetto di Mussi non capovolge il processo in atto di invecchiamento del corpo docente, ma lo dà per scontato e anzi lo asseconda, e dunque tradisce le intenzioni stesse del ministro.


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