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Repubblica: Ma la scuola non doveva essere una priorità?

Corrado Augias

08/06/2007
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la Repubblica

Ma la scuola non doveva essere una priorità?

CORRADO AUGIAS

C aro Augias, quant'è facile fare demagogia su questo o quel professore che prende più ferie del necessario, magari per fare un secondo lavoro. Perché non si riesce, neanche a sinistra, a guardare in faccia al problema della scuola nella sua drammaticità?

Ogni insegnante deve trascorrere in media 15 anni di precariato prima di essere assunto in una sede stabile, passando per l'umiliazione annuale di vedersi assegnato, quel che resta libero di volta in volta, indipendentemente dalla distanza dalla sua casa, talvolta lavorando in 2-3 sedi distanti tra loro.

Lo stipendio è degradante, altro che Unione Europea. Come si fa con lo stipendio da insegnante a reggere le esigenze di studio, di aggiornamento o anche le spese ordinarie di gestione familiare senza qualche lavoro per arrotondare?

E' ingiusto dire che questo vada a discapito degli studenti. Gli unici in Italia che abbiano a cuore l'educazione dei giovani sono proprio gli insegnanti, che nonostante tutto danno la propria vita per la scuola.

Diciamo la verità: siamo molto lontani dal poter parlare seriamente di pedagogia e di didattica: la condizione dell'insegnamento è difficile, socialmente deprivata. Pensi che molti precari della scuola ancora non hanno ricevuto i compensi per gli esami di maturità svolti negli ultimi due anni.

Carlo Scognamiglio

Roma carlo. scogna@katamail. com

Tema molto serio quello della scuola, per certi aspetti addirittura drammatico. Buona parte di ciò che il nostro paese riuscirà ad essere nel concerto internazionale, dipende dalla qualità dell'insegnamento, dalla concreta possibilità di accedervi.

Situazione non buona, al momento. Le scuole private incalzano per mungere più soldi allo Stato, le scuole pubbliche sono ridotte al lumicino. La mia esperienza, quella personale e quella ricavata dalle lettere che ricevo, mi suggerisce che buona parte della struttura regge sulle spalle degli insegnanti, sulla loro voglia di fare.

Insegnanti pelandroni che fumano in classe e tengono il cellulare acceso ce ne sono. Ma preferisco pensare agli altri che credo (spero) siano la maggioranza, consapevoli della loro responsabilità.

Mi ha scritto uno di loro, Stefano Bertora, per segnalarmi un episodio avvilente, perché nelle scuole succede anche questo. Il prof Bertora è stato punito per aver mangiato alla mensa scolastica nei giorni in cui non era di turno all'ora di pranzo.

Scrive l'insegnante. «Che vergogna dover scrivere queste righe sentendomi offeso, insieme ad altri colleghi, da una solerte funzionaria comunale che ci ha negato un piatto di minestra che, di lì a poco, è andato dritto nell'immondizia! In fondo si trattava di 'appropriazione di avanzi'».

Non è probabilmente il caso di fare di Stefano Bertora un nuovo Jean Valejean mandato alle galere per aver rubato un pane. Né di quella funzionaria una kapò. Resta però il disagio di cui l'incidente è sintomo, la lotta tra il rigore e la penuria, lo spreco lecito e l'appropriazione indebita, un uomo rimproverato davanti ai suoi alunni per aver mangiato una minestra.

Non sento più nominare la scuola tra le priorità di governo, questo mi pare un brutto segnale. Ricordo che cosa aveva detto Romano Prodi nella campagna del 1996. Ai primi tre posti del suo programma aveva messo: scuola, scuola, scuola.


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