Repubblica-Ma Epifani frena la grande intesa "Non c'è più il Paese del '93"
L'INTERVISTA Il leader della Cgil: eccessivo parlare di patto sociale, è giusto cercare nuovi accordi Ma Epifani frena la grande intesa "Non c'è più il Paese del '93" la finanziaria Altr...
L'INTERVISTA
Il leader della Cgil: eccessivo parlare di patto sociale, è giusto cercare nuovi accordi
Ma Epifani frena la grande intesa "Non c'è più il Paese del '93"
la finanziaria Altro che vuota, come dicono gli industriali, è sbagliata. E i tavoli sui collegati saranno solo un mercato di scambio tra gruppi di interesse
la regola del 2% Con il tetto di spesa uguale per tutti si rinuncia a scegliere e si mettono sullo stesso piano gli investimenti giusti e quelli sbagliati
i sindacati E' vero, facciamo fatica a trovare un punto di vista unitario, ma l'unico punto di divisione riguarda la riforma dei contratti
la devolution Contro il federalismo della Cdl, c'è ormai un accordo nei fatti con la Confindustria, ed è il terreno più solido di convergenza
ROBERTO MANIA
"Parlare di patto sociale per la riforma degli ammortizzatori sociali mi pare un po' eccessivo. Patto è una parola grande. Lavoriamo insieme e se ci sono le condizioni possiamo trovare un accordo". Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, non boccia la proposta lanciata ieri dal presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo. Ne offre, piuttosto, una lettura minimalista, priva dell'enfasi che contiene l'espressione "patto sociale", la quale fa subito venire in mente l'intesa del 1993, firmata quando alla presidenza del Consiglio c'era Carlo Azeglio Ciampi. Altri tempi, altre condizioni economiche e sociali. Altro governo. Dieci anni dopo non si può ripetere quell'esperienza e nemmeno chiedere al mondo del lavoro dipendente (quello che rappresentano i sindacati) di fare sacrifici, come presuppone la Finanziaria da 24 miliardi di euro appena varata dal governo. "Una manovra, sia chiaro - dice il leader della Cgil - che non è figlia del fato, bensì degli errori commessi dal governo in questi anni". E che continua a sbagliare senza assumersi la "responsabilità" di una scelta di politica economica, così come ha fatto applicando la regola del tetto del 2 per cento alla crescita della spesa. "Altro che Finanziaria vuota! come dicono gli industriali", aggiunge. Il negoziato sui cosiddetti collegati alla manovra per il recupero del potere d'acquisto degli stipendi e della competitività delle imprese si trasformerà in "un mercato di scambio: un po' di Irap in più e un po' di Irpef in meno. O il contrario". Ma se gli interessi economici possono non unire, è sulla contrarietà alla devolution che tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil "si è creato nei fatti e autonomamente il più solido terreno di convergenza". Con un inedito intreccio tra questioni economiche e assetti istituzionali.
Epifani, perché di fronte ad una situazione di emergenza economica che costringe il governo ad approvare una manovra correttiva del deficit di 24 miliardi per il 2005, il sindacato non è disposto a fare sacrifici? Perché, invece, nei primi anni Novanta accettaste la linea del rigore?
"Quando il presidente del Consiglio Berlusconi ci ha illustrato a Palazzo Chigi le linee della manovra ci ha invitati a non parlare di stangata perché il Paese aveva bisogno di fiducia. Gli ho risposto che era vero, ma che a tradire la fiducia era stato esattamente il governo con tutte le Finanziarie approvate in questi anni. Sia quando ha promesso cose che poi non ha mantenuto (penso all'aumento delle pensioni al minimo a 516 euro), sia quando ha parlato di miracolo economico".
D'accordo, ma dieci anni fa le "stangate" ottennero il vostro sostanziale appoggio.
"C'è una bella differenza con i primi anni Novanta. Oggi si interviene su un corpo produttivo e sociale assolutamente indebolito sia dal punto di vista della sua capacità produttiva, sia dal punto di vista della distribuzione del reddito. Oggi sta crescendo la quota di famiglie e di cittadini all'interno della fascia di povertà. Per queste ragioni diciamo no alla Finanziaria. Che, aggiungo, dietro la neutralità oggettiva del 2 per cento di tagli alla crescita della spesa nasconde la rinuncia esplicita di non scegliere. Mette tutto sullo stesso piano: gli investimenti che vanno fatti e quelli inutili. Il governo ha scelto di non decidere, ha svuotato la politica economica. Non si sa quali siano le priorità. Si pensa che possano stabilirlo le forze del mercato, purché lasciate libere di agire! Poi c'è il capolavoro di ipocrisia sulla riduzione delle tasse. Qui siamo in netta continuità con Tremonti".
Ma perché siete così ostinatamente, quasi ideologicamente, contrari alla riduzione delle tasse?
"Non è così. Noi pensiamo che non ci siano le risorse per operare una riduzione delle tasse. Se ci fossero saremmo favorevoli, chiaramente partendo dai redditi più bassi e senza alcuna generalizzazione. La realtà è che il governo ha annunciato che intende ridurre le imposte nazionali e sta creando le condizioni per un aumento delle tasse locali".
Nei prossimi giorni dovrebbe cominciare il confronto con il governo sui cosiddetti collegati alla Finanziaria. E' in quella sede, ha detto ieri il presidente della Confindustria Montezemolo, che si vedranno le reali intenzioni del governo per provare a rilanciare l'economia del Paese. Non può essere un'occasione anche per i sindacati?
"Ma come si possono modificare le cose se non si cambia radicalmente l'impostazione della Finanziaria? Bisognerebbe puntare sullo sviluppo, sugli investimenti, in particolare nel Mezzogiorno".
Ma se non ci sono i soldi.
"Bisogna trovarli".
Come?
"L'ho detto: cambiando il profilo di questa manovra. Stabilendo le priorità di politica economica".
Non dovrebbe servire a questo il confronto sui collegati alla Finanziaria?
"Quei tavoli serviranno solo ad una redistribuzione interna: qualcuno strapperà un po' meno di Irap a danno di un po' più di Irpef. Sarà un mercato di scambio tra gruppi di interesse, lavoratori autonomi e dipendenti; industriali e commercianti. Qualcuno vincerà e gli altri perderanno. Di certo perderanno i giovani, le regioni meridionali e i pensionati".
Il presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, ha proposto ieri da Capri "un patto per le nuove relazioni industriali", un patto per riformare gli ammortizzatori sociali. E' un obiettivo che condivide? Firmerete quel patto, visto che anche per Montezemolo, come per la Cgil, non si può continuare a litigare sui contratti e i salari, mentre si deve avere un orizzonte più ampio ?
"Quello degli ammortizzatori sociali è un tema che a noi interessa. Abbiamo sempre detto che siamo pronti ad affrontare tutti le questioni legate alla competitività delle imprese, mentre - come riconosce il presidente della Confindustria - la priorità non è affatto la riforma dei contratti. Tuttavia mi pare che la parola patto sia eccessiva, troppo grande, troppo alta. Ricordo che lo stesso Montezemolo, nella sua relazione di insediamento, ci chiese di lasciare perdere le definizioni e di lavorare sulle cose concrete. Ecco: mettiamoci a lavorare e se ci sono le condizioni si può fare un accordo".
Con un sindacato così litigioso? Mentre le 18 associazioni imprenditoriali hanno definito un documento comune sulla politica economica, voi, ogni giorno, avete un motivo per polemizzare. Date l'impressione di arrancare, di non avere una strategia condivisa.
"C'è una parte di verità in questo. Certo, il documento delle imprese è un fatto rilevante ma non sono così sicuro, anzi non lo sono affatto, che sulle tasse abbiano la stessa posizione. Quanto al sindacato, è vero che fa fatica a trovare un punto di vista unitario, anche se l'unico punto di divisione riguarda la riforma del modello contrattuale".
Con Cisl e Uil, certamente, condividete l'opposizione alla devolution. Insieme domani esprimerete le vostre preoccupazioni al presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini. Peraltro una posizione non diversa ha la Confindustria. Non potrebbe essere proprio questo l'oggetto di una possibile prima intesa con gli industriali?
"L'accordo con la Confindustria contro il federalismo che propone la Casa delle libertà c'è nei fatti. Dunque non c'è bisogno di formalizzarlo. Questo, aggiungo, è il terreno più solido di convergenza tra le forze sociali. E non è un caso che le imprese e i rappresentanti del mondo del lavoro abbiano la stessa posizione. Più di altri siamo radicati nella realtà, nella concretezza dei problemi. Senza alcun vizio ideologico, capiamo che quella della devolution è una scelta sbagliata".