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Repubblica-La scuola araba resta chiusa i genitori pronti alla protesta

POLEMICA Il prefetto di Milano incontra i responsabili dell'istituto: "Cerchiamo una soluzione insieme" La scuola araba resta chiusa i genitori pronti alla protesta Le fa...

13/09/2005
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la Repubblica

POLEMICA
Il prefetto di Milano incontra i responsabili dell'istituto: "Cerchiamo una soluzione insieme"
La scuola araba resta chiusa i genitori pronti alla protesta
Le famiglie dei 500 ragazzi minacciano scioperi della fame e manifestazioni
Ferrante: se non scelgono la legalità ne potrebbe nascere un duro contrasto
ALESSIA GALLIONE


MILANO - Le scuole di Milano stanno già studiando un piano per accoglierli. Al mattino, in classe con tutti gli altri per seguire storia e geografia, matematica e inglese. Ancora sui banchi, al pomeriggio, per frequentare corsi di lingua araba o italiana per coloro che avranno maggiori difficoltà a stare al passo con i compagni. Perché la scuola araba di via Quaranta non aprirà. Non potrà riaprire. Non ora, non così. E non solo perché il Comune ha dichiarato l'inagibilità dell'edificio industriale alla periferia della città che, da sei anni, ospita una scuola per ragazzi egiziani. Lo dice chiaramente il prefetto di Milano Bruno Ferrante, che ieri ha incontrato il direttore scolastico regionale Mario Dutto e i responsabili della scuola e quello dell'istituto islamico di viale Jenner Abdel Shaari: "La scuola di via Quaranta, cosi com'è, non può esistere - afferma il prefetto - È fuori dalla legge e non è solo un problema di agibilità della sede, ma di contenuti didattici e di modelli educativi". Ma da via Quaranta la speranza è sempre di poter salvare la loro scuola: "I genitori non voglio mandare i loro figli negli istituti italiani e sono pronti a riportare i ragazzi in Egitto o a farli studiare a casa. Per non chiudere qualcuno è pronto a manifestare o a fare lo sciopero della fame", dichiara il direttore dell'istituto Ali Sharif.
Non rispetta le regole, via Quaranta. Ma dovrà farlo. Perché la premessa è una sola: "Adesso sono di fronte a un bivio: o scelgono la strada, faticosa, della legalità e del rispetto delle regole, o quella del contrasto che potrebbe essere anche duro con reazioni nette delle autorità italiane", scandisce Ferrante. E la legalità, in attesa di poter costruire un progetto di scuola paritaria, con programmi e insegnanti italiani, è la scuola pubblica. Come aveva già annunciato il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti e come ha ripetuto anche il sindaco Gabriele Albertini: "Qui potranno utilizzare le ore autogestite per approfondire la loro cultura religiosa".
Ma sarà difficile trovare un punto di incontro tra due posizioni che rimangono ancora molto lontane. Difficile aprire un dialogo: "Anche se i responsabili della scuola vogliono lavorare per individuare strade che portino a una soluzione nel rispetto delle leggi italiane", spiega Ferrante. Per questo, già oggi, saranno di nuovo tutti in prefettura per cercare di trovarla, questa mediazione: il direttore Dutto e quello di via Quaranta, il provveditore Antonio Zenga e i docenti e i presidi che, in questi anni, hanno avuto contatti con la comunità islamica e che ora potrebbero parlare con le famiglie. L'importante è fare presto, esorta Dutto. Perché la scuola è iniziata e i bambini non sono tornati sui banchi: "Siamo preoccupati che questi 500 studenti restino a casa. In Lombardia, fortunatamente la scuola è iniziata in anticipo e contiamo di risolvere il problema in poche settimane". Non ci sarà un'unica possibilità, però: impossibile prevederla per così tanti ragazzi. Ma un "ventaglio", raccontano in prefettura. A partire dalla scuola pubblica. I bambini, soprattutto quelli delle medie che rimarranno in Italia, potrebbero frequentare gli istituti milanesi. Seguirebbero i programmi italiani, a fianco dei loro coetanei, ma per loro sarebbero organizzati corsi di lingua araba al pomeriggio e di italiano per coloro che hanno maggiori problemi.
Non sarà facile, però, abbattere il muro di diffidenza di tanti genitori, che domenica hanno organizzato un'assemblea e che ora rischiano di chiudersi ancora di più. Annunciando: "Siamo pronti a rimandare i nostri figli in Egitto o fare ricorso all'educazione paterna, organizzando lezioni nel salotto di casa per gruppi di cinque o sei ragazzi". "La legge lo prevede anche se non è la soluzione ideale perché hanno bisogno di vivere con gli altri", dice Dutto. Così come la scuola straniera che la comunità vorrebbe inaugurare aspettando di poter fare una scuola paritaria. "Spero ancora che si possa trovare una soluzione: noi vogliamo rispettate la legge, ma ci devono aiutare. Se ci avessero avvertito prima avremmo trovato un'altra sede, ma ora, all'ultimo momento, che possiamo fare?", continua a ripetere amareggiato Sharif.


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