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Repubblica-LA SCATOLA SFONDATA DELLA FINANZIARIA

LA SCATOLA SFONDATA DELLA FINANZIARIA EUGENIO SCALFARI I GIOVANI della Confindustria hanno definito nel loro convegno di Capri di tre giorni fa la legge finanziaria come una scatola vuota. ...

03/10/2004
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la Repubblica

LA SCATOLA SFONDATA DELLA FINANZIARIA
EUGENIO SCALFARI
I GIOVANI della Confindustria hanno definito nel loro convegno di Capri di tre giorni fa la legge finanziaria come una scatola vuota. Hanno perfettamente ragione; infatti in essa c'è soltanto la speranza (ma senza alcuna certezza) d'un aggiustamento della contabilità pubblica che Tremonti ha lasciato pochi mesi fa al suo successore in condizioni comatose e non più oltre nascondibili: il deficit al 4,5 del Pil, l'avanzo primario delle spese correnti a poco più del 2 per cento della vetta del 5 toccata nella fase Ciampi-Visco; il debito pubblico al 106 per cento; il fabbisogno di cassa a 60 miliardi di euro.
La finanziaria del 2005 che tra pochi giorni sarà discussa e poi votata dal Parlamento dovrebbe servire soltanto a riportare queste cifre sulla linea di galleggiamento. Viceversa i provvedimenti di politica economica destinati a rilanciare la domanda stagnante e a stimolare la competitività sono rinviati al 31 ottobre (ma più probabilmente alla fine dell'anno) senza che ancora si sappia come saranno formulati e quale forma legislativa avranno, decreto legge o disegno di legge o emendamenti da introdurre nella finanziaria.
Ha dunque ragione la giovane confindustriale Artoni: una scatola vuota che costa però al paese una manovra di 24 miliardi che, aggiunti ai 4 già votati per raddrizzare in corsa le gambe dell'esercizio 2004, fanno un totale di 28, pari a 56 mila miliardi di vecchie lire.
Aggiungo che se l'aggiustamento fosse un obiettivo sicuramente raggiungibile, averlo raggiunto sarebbe comunque un successo oltre che la conferma del buco che il triennio di Tremonti ha lasciato in eredità.
Rappresenterebbe un primo voto positivo sulla pagella di Siniscalco. Il guaio è che l'operazione di raddrizzamento finanziario ha anch'essa le gambe storte, anzi stortissime; sicché rischiamo di restare per un anno ancora sul crinale del dissesto finanziario e della stasi economica mentre la stessa ripresa americana manifesta segnali di rallentamento e di incerta fiducia.
Il nerbo (si fa per dire) della manovra si basa su 9,5 miliardi di minori spese. Dico minori spese adottando la impropria terminologia del presidente del Consiglio e del ministro dell'Economia che hanno bandito dal loro vocabolario la parola "tagli". Mi adeguo, ma non senza avvertire che di veri e propri tagli si tratta, visto che fissare a quasi tutte le spese della pubblica amministrazione, investimenti compresi, un tetto nominale di aumento del 2 per cento a fronte di un'inflazione che progredisce con la stessa velocità, significa di fatto congelare a incremento zero la totalità della spesa.

Il ministro ha anche comunicato che per mantenere gli obiettivi del triennio 2005-2007 il congelamento della spesa dovrà proseguire per lo stesso arco di anni, il che rende l'obiettivo non soltanto poco credibile ma mancato in partenza oppure raggiungibile soltanto a prezzo di una politica di vera e propria macelleria sociale.
Le spese correnti del nostro bilancio si compongono infatti per oltre l'80 per cento di stipendi, pensioni, costi fissi e interessi sul debito pubblico.
Poi ci sono quelle in conto capitale, anch'esse assoggettate al congelamento per lo stesso triennio.
Mi domando con quale faccia ci si venga a raccontare che questo è un obiettivo perseguibile e per di più attraverso una manovra triennale definita morbida. E mi domando anche quale sarebbe, per il nostro "premier" e per il suo ministro, una manovra severa: forse quella che prevedesse l'eliminazione fisica di almeno un terzo dei pubblici dipendenti, dei pensionati, dei percettori di interessi e di cedole di titoli pubblici? Mi domando infine come mai la giovane confindustriale Artoni e i suoi associati abbiano definito "scatola vuota" la finanziaria in questione (con un termine che secondo me pecca di notevole indulgenza) mentre il presidente della Confindustria Luca Montezemolo e il suo vicepresidente Marco Tronchetti Provera abbiano dato pieni voti di lode a quel medesimo documento. Avevano forse gli occhi e le orecchie foderati di prosciutto gli adulti della Confindustria, laddove i loro giovani e soprattutto i sindacati ne scorgevano tutte le magagne?
I 9 miliardi e mezzo previsti da Siniscalco non ci saranno. Se ne porterà a casa 7 sarà grasso che cola, tanto più che ha già cominciato a ceder terreno sul contratto con gli statali e altro ancora dovrà cederne sulla scuola, sulla difesa, sugli investimenti. Qualora poi - come è possibile se non addirittura probabile - si dovesse trovare di fronte ad un aumento dei tassi d'interesse, l'intero castello da lui costruito sul congelamento della spesa crollerebbe miseramente.
Né le prospettive sono migliori quando si passi a esaminare la voce di 7 miliardi attesi dalle maggiori entrate fiscali. Quest'introito è basato per quattro quinti su un nuovo concordato che Siniscalco si propone di stipulare con le associazioni dei commercianti, degli artigiani e dei professionisti; insomma con quelle categorie di lavoratori e imprenditori autonomi che sono poco o nulla soggetti alla concorrenza internazionale.
Secondo le previsioni di Siniscalco dovrebbero pagare circa 5 miliardi in più rispetto all'esercizio precedente, sempre che (ha aggiunto) le associazioni che li rappresentano siano d'accordo.
Non scommetterei un soldo bucato sulla probabilità di quell'accordo. Perché dovrebbero sottoscriverlo, cioè autotassarsi, gli interessati? Si dice: evadono, si tratta di accettare una riduzione dell'evasione.
E' probabile che evadano. Ma se il ministro ne è così certo perché non procede d'ufficio e senza bisogno d'un compromesso fondato sull'accettazione da parte dello Stato dell'evasione di una parte ragguardevole di contribuenti? La verità è che quei contribuenti, tutti titolari di partite Iva, evadono largamente ma hanno anche buone ragioni per farlo che hanno tante volte illustrato al pubblico. Gli studi di settore sono un modo escogitato dal fisco per tener conto delle loro ragioni senza abdicare alle proprie esigenze; ma è un modo fondato sull'accordo e quindi sul compromesso. Difficile rompere il compromesso in una fase di ristagno della domanda, senza offrire qualche cosa in cambio. È evidente che quel qualcosa, per chi vive sulla domanda del mercato, non può essere lo sgravio dell'Irpef, bensì una forte spinta ai consumi almeno per quanto riguarda gli esercizi commerciali di ogni dimensione, specie se gli si richiede una politica di prezzi contenuti. È ragionevole cumulare nello stesso tempo tassazione più elevata, prezzi scontati e domanda calante?
Bisogna dunque puntare sul rifinanziamento del potere d'acquisto non per la domanda di beni di lusso ma per quella di beni diretti di larghissimo consumo.
In mancanza di che è molto ardua una acconcia spremitura fiscale del terziario commerciale. Difatti anche su questa voce d'introito tributario è stato lo stesso ministro ad affannarsi per rassicurare le categorie in rivolta e gli alleati politici che già minacciano una pioggia di emendamenti. Il rischio è che quei preziosi 7 miliardi di maggiori entrate tributarie si riducano al lumicino.
Della manovra da 24 miliardi non resta di sicuro che la parte ancora una volta affidata alle una tantum, salvo che la Commissione di Bruxelles non abbia a bocciare l'eterna creatività del "mordi e fuggi" italiano. Scatola vuota o scatola sfondata?
* * *
Si leggono in questi giorni dotti articoli che mettono nel mirino un presunto partito delle tasse capace di averla vinta su chi vorrebbe dare le ali alla domanda riducendo drasticamente le imposte e la spesa pubblica. Meno Stato e più mercato. E si ricorda per l'ennesima volta il circuito virtuoso messo in moto da Ronald Reagan che procurò forza e diffuso benessere all'economia americana.
Ma per l'ennesima volta occorre ricordare che la politica di massicci sgravi fiscali praticata da Reagan non procurò alcun sollievo all'economia Usa. Bisognò aspettare parecchi anni per vedere un'espansione consistente di quell'economia durante i due mandati della presidenza Clinton. Le cifre sono lì per chiunque abbia lo scrupolo di volersi documentare.
Del resto uno sconto fiscale fa piacere a tutti, così pure l'eliminazione degli sprechi e del malgoverno purché non metta a rischio i fondamentali del bilancio. Puntare su quell'obiettivo partendo da un bilancio appesantito da un debito pubblico che è tra i più alti del mondo in rapporto al Pil o azzardare una politica di deficit spending sarebbe pura follia. Ma perché uso il condizionale futuro? Quella politica è stata la base del triennio di Tremonti, a stento compensata dai condoni e dalla vendita del patrimonio per decine di miliardi senza arrestare l'aumento del debito. Se siamo nelle condizioni in cui siamo lo si deve a quella politica che Siniscalco, contrariamente a quanto sostengono i suoi estimatori, sta continuando come l'analisi della sua finanziaria largamente dimostra.
Intanto il fabbisogno continua ad aumentare e con esso il debito. Per guadagnar tempo - secondo gli insegnamenti tremontiani, si cerca di spostare sul sistema bancario una parte del finanziamento del Tesoro attraverso la cartolarizzazione dei crediti e il camuffamento della Cassa Depositi e Prestiti in una banca generale sottratta alla contabilità dello Stato.
Mezzucci cosmetici che non cambiano in nulla la realtà finanziaria e l'incapacità del governo di intercettare il debole vento di ripresa che ancora spira tra le due sponde dell'Atlantico.
* * *
Coloro che si inventano l'esistenza di un partito delle tasse e gli addossano la colpa d'aver impedito a Berlusconi di imitare Ronald Reagan, ripongono ora timide ma fervide speranze in "un nuovo gruppo che sia al di fuori di tutti gli schieramenti politici e possa in futuro prendere la guida del paese".
Sarei curioso di saperne di più. Sono tentato di dire anch'io "fuori i nomi". Ma sarebbe indiscreto.
Indiscreto ma interessante. Un nuovo gruppo di persone al di fuori degli attuali schieramenti: è un'invocazione retorica allo stellone italiano? Agli uomini della provvidenza? Ma non era Berlusconi l'Unto del Signore? Un altro come lui? Dunque un impresario anzi, scusate, un imprenditore? Cui sia venuto il prurito di far politica? Qualcuno che forse è rimasto in panchina e che adesso ha cominciato a scaldare i muscoli e che non sta né con la destra né con la sinistra ma con se stesso?
Ancora una volta dico che mi ricorda un Berlusconi giovane. Il nome, anzi i nomi, francamente non mi vengono in mente ma avverto un certo rumore di fondo. "Quod Deus avertat".


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