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Repubblica-La nuova sincerita' del parlare a vanvera

La nuova sincerita' del parlare a vanvera Bisogna educarsi a pensare e a esprimere la propria verità dopo aver riflettuto MARCO LODOLI Nessuna filosofia catalogherebbe mai la sincerit?...

28/06/2004
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la Repubblica

La nuova sincerita' del parlare a vanvera

Bisogna educarsi a pensare e a esprimere la propria verità dopo aver riflettuto
MARCO LODOLI

Nessuna filosofia catalogherebbe mai la sincerità tra i difetti degli esseri umani. Le persone sincere sono anzi le migliori, le più oneste, ci ispirano un'istintiva fiducia. Sull'altra trincea ci sono i falsi, gli ipocriti, gente che fa della menzogna un'arma sottile per avvantaggiarsi meschinamente. Tutto chiaro, dunque? Il bene sta con i sinceri e il male con i falsi? Se dividiamo il campo tra questi due avversari, non c'è alcun dubbio. Però, almeno qui da noi, nell'Italia di questi anni, mi pare che la sincerità abbia un nuovo nemico, la riflessione, e che sia diventata la cara sorella della faciloneria e della supponenza. Tanti giovani, ma non solo loro, sono stati educati da cento programmi televisivi a dire la prima cosa che passa loro per la testa, senza fermarsi un minimo a meditare. "A professò, io sò sincero, a me sta poesia de Leopardi me fa veramente schifo", oppure, cambiando settore: "Della guerra e della pace me ne frega pochissimo, glielo dico col cuore in mano". La sincerità è diventata una scorciatoia per evitare ogni sforzo del pensiero. Per questo agli esami orali i ragazzi faticano a organizzare un discorso fluido. Sarebbe il momento di una comunicazione ponderata, invece le parole escono a stento, i raccordi si sfilacciano, spesso gli argomenti s'afflosciano a mezz'aria.
Bisognerebbe parlare di altro da sé e non si è più abituati. D'altronde in televisione vediamo di continuo gente che senza esitare racconta a mezza Italia i suoi problemi sentimentali, che si rinfaccia qualsiasi cosa, che dichiara senza arrossire: "Ti voglio bene" o "Mi fai schifo". Una volta la sincerità era il risultato finale di un percorso difficile, anche sofferto.
Chi esprimeva la sua verità aveva prima riflettuto a lungo, scelto con curale parole per sputare il rospo. Sapeva di rischiare e rischiava. Anche una dichiarazione d'amore derivava da nottate trascorse nella trepidazione. Oggi non è più niente, solo un gargarismo per sciacquarsi la gola, un narcisismo sciocco. Protetti e autorizzati dal potere di questa parolina, i nuovi italiani hanno cominciato a parlare a vanvera, a esporre allegramente le proprie budella, cambiando idea ogni momento perché non hanno più nessuna idea, solo tanta sincerità. Siamo diventati come quei bambini che per un certo periodo parlano con infinita gioia della loro cacca. "Professò, devo andare al bagno", e io rispondo: "Mancano due minuti alla campanella, per favore aspetta la fine della spiegazione", e inevitabile arriva il commento: "Vabbè allora la faccio qui nell'angolo, mi dispiace, ma io non reggo, glielo dico sinceramente". E' lo stesso che sinceramente afferma di odiare la poesia, "che non serve a niente e non fa guadagnare una lira". Tanti cardinali del video hanno fatto di questa rude e volgare schiettezza un nuovo valore. Ovviamente non sto qui a rimpiangere una società castigata, timorosa di prendere la parola: è giusto che tutti dicano senza paura ciò che pensano. Non desidero affatto che gli studenti siano degli "acustici", cioè persone che fino a quando non imparano debbono solo ascoltare, come accadeva nelle scuole stoiche della Grecia antica. Però mi pare che aprire bocca e darle fiato non sia la cosa migliore. Bisogna sempre essere sinceri, ma prima bisogna educarsi a pensare, dubitando almeno un poco che ogni nostro prurito sia una verità assoluta da grattare in pubblico. "Parliamo tanto di me", scriveva Zavattini: d'accordo, ma impariamo un poco a parlare anche del resto, almeno agli esami.


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