Repubblica-La neo- scuola ideologica della Moratti
Cambiamenti più di facciata che reali. In attesa del vero banco di prova: l'istruzione superiore La nuova scuola della Moratti una riforma piccola piccola Dall'anticipo agli studi su mi...
Cambiamenti più di facciata che reali. In attesa del vero banco di prova: l'istruzione superiore
La nuova scuola della Moratti una riforma piccola piccola
Dall'anticipo agli studi su misura, quante incognite
di Edmondo Berselli
Ma uno dei limiti maggiori del progetto è quello di parlare a una famiglia che non c'è, caricata di eccessive responsabilità
Dietro il mito della flessibilità, il rischio di ritrovarsi con classi troppo disomogenee E i piani
Per chi se lo fosse dimenticato, la riforma scolastica del governo Berlusconi, con Letizia Moratti autrice e testimonial, è stata uno dei capisaldi del programma della Casa delle libertà alle elezioni del 2001. Prima del voto, il centrodestra aveva annunciato che avrebbe demolito la riforma Berlinguer, innovativa nel riordino dei cicli scolastici, per ripristinare un impianto più tradizionale.
personalizzati preludono al caos
A un osservatore semplicemente curioso, impressionato dalle manifestazioni di piazza contro la riforma, con i bambini progressisti che impugnavano cartelli tipo Letizia-vai-via, e colpito dalle polemiche sul significato profondo della riforma e da quelle più pratiche sul tempo pieno, non sfugge dunque che la riforma Moratti è un provvedimento dichiaratamente ideologico. Varata con la legge delega del 28 marzo 2003, n. 53, applicata per una prima parte con il decreto legislativo del 23 gennaio 2004, è anzi l'intervento più ideologico predisposto dal centrodestra: per l'avversione intima esibita contro il riformismo dell'Ulivo, per il linguaggio utilizzato, per la visione della scuola e della società di cui è permeata.
Di per sé l'ideologia non è un peccato, neanche in epoca postpolitica. Ma se si pensa che per molti esperti la riforma in realtà è una "riformina", e appare tanto tradizionale nell'architettura quanto modernizzante negli strumenti, il suo contenuto ideologico potrebbe essere la vera caratteristica del disegno complessivo. Quindi ci vuole un esercizio ermeneutico. Fuori dai tecnicismi pedagogistici, l'ideologia è buona o cattiva? Moneta sonante o soldo bucato?
Come ogni riforma novista, il decreto legislativo riplasma il lessico. E così vanno fuori catalogo termini rétro come scuola materna, elementari e medie, sostituiti da "scuola dell'infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo grado". Nella pratica cambia poco, ma intanto si elimina un po' di calduccio passatista. La neo-scuola della Moratti, coadiuvata dal suo pedagogista di riferimento, il cattolico Giuseppe Bertagna, si apre all'insegna della flessibilità. Sia nella scuola dell'infanzia sia nella primaria è consentito infatti un anticipo informale dell'accesso. Potranno essere iscritti alla ex materna e alla ex elementare i bambini che compiono rispettivamente tre e sei anni entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento (per l'anno prossimo, in omaggio a un non chiarissimo principio di gradualità, la data limite è il 28 febbraio 2005).
Si tratta di un provvedimento opzionale, e quindi indolore? Fino a un certo punto. È vero che c'è un consenso degli specialisti sull'opportunità di anticipare di un anno l'ingresso nella scuola; ma con il lodo Moratti, si resta nel limbo: l'apparente buonsenso che lo ispira conduce alla possibilità di classi comprendenti bambini divisi da 15-16 mesi di età. In prima elementare è una differenza ingente. In tempi sospetti fu rilevato che questo compromesso era dettato dall'intento di non sottrarre spazio alle scuole materne cattoliche, che si sarebbero opposte disperatamente all'idea di vedere scomparire un'annata di bambini e di rette. Ma a parte queste faccenduole lobbistiche, va messo in luce che la riforma affida alle famiglie la decisione se iscrivere o no precocemente un bambino: e su quali basi i genitori dovrebbero decidere? Su una valutazione autonoma della maturità dei bimbi? Facendosi un'idea autosperimentale delle loro capacità di apprendimento?
Forse la responsabilità di questa decisione è eccessiva per molte famiglie. Eppure il pasticcetto è a suo modo rivelatore della vera ideologia che incombe su questa prima parte della riforma. Cioè un ribadito, sottolineato, continuamente evocato familismo; uno stabilire la continuità e la corresponsabilità delle famiglie con la scuola, gli insegnanti, la didattica. Un atteggiamento che forse risente di un'ispirazione cattolica; che potrebbe magari relativizzare il ruolo della scuola pubblica nella formazione; ma che senza dubbio va in perfetta contrapposizione rispetto all'orientamento delle famiglie reali, non quelle immaginarie, che tendono a delegare largamente alla scuola istruzione e educazione dei figli, e su questa delega fondano le loro aspettative rispetto all'istituzione scolastica e alla qualità dell'insegnamento.
L'ideologia familiare o familista dispiega tutto il suo peso quando la riforma accenna all'aspetto più insondabile di tutto il disegno scolastico: vale a dire la possibilità di accedere a "piani di studio personalizzati". Su questo punto la distanza fra l'astrattezza della legge e la realtà empirica della scuola è massima, perché nessuno sa che cosa siano, e come si possano o debbano organizzare. Secondo il ministro Moratti si tratta di "non mettere più al centro di tutto la classe" ma di seguire i problemi e le attitudini individuali degli allievi. E allora la scuola diventa una piccola università, con programmi à la carte? Le famiglie suggeriranno materie e corsi ai bambini, e chiederanno alle scuole di attivare materie opzionali? Non è la premessa di un caos dilettantistico?
Risposta: ma c'è il tutor. È lui, l'insegnante responsabile, "in costante rapporto con le famiglie e con il territorio" che fa da raccordo. Figura cruciale e dibattuta. Perché il decreto Moratti non discute la "contitolarità didattica" dei docenti, ovvero il "modulo", insomma la riforma delle elementari con le tre maestre approvata nel 1990. Nella scuola, il modulo era stato l'unica innovazione riformatrice dopo la media unica nei primi anni Sessanta. Fece agitare fior di intellettuali che gridarono alla morte della libertà di insegnamento, alla soluzione corporativa, al "meno bambini più insegnanti". Tutti discorsi finissimi che però si scontrarono su un irritante dato di fatto: che le elementari con il modulo funzionavano.
Bene, qualcuno vede nella creazione del tutor e nella descrizione delle sue estesissime responsabilità una scalfittura, un'insidia, una rottura del team paritario. Un insegnante che conta più degli altri e quindi introduce una variante controriformista. È un eccesso di sospetto? Così come sarà eccessivo aspettarsi un attacco "di destra" anche al tempo pieno? Ormai sembra chiaro che almeno per il momento il tempo pieno non scompare e non viene ridotto. Ma se si rompe l'unità organica dell'insegnamento, la scuola del pomeriggio diventa un baby sitting dequalificato.
La riforma fa perno su alcuni temi, come l'inglese, l'"alfabetizzazione" informatica" e l'introduzione della seconda lingua comunitaria alle medie, che apparirebbero sacrosanti se non fossero stati riassunti da Silvio Berlusconi nelle "tre i", inglese, internet e impresa. Il mito dell'impresa, per bambini e ragazzini fino a tredici anni, si riassume a quanto pare in quella micidiale sciocchezza terminologica che è il "portfolio delle competenze", già dileggiato a suo tempo su questo colonne da Michele Serra. Nella legge e nel decreto la parola portfolio non c'è. Sarà in qualche allegato o lavoro preparatorio. Sarà un gioiello linguistico dell'Azienda delle libertà e della Moratti in particolare. Comunque questa gergalità indica più o meno un dossier, una cartella degli studi, un libretto riassuntivo della carriera scolastica dell'alunno, redatto dal tutor. Niente di speciale. Come niente di speciale sono l'abolizione dell'esame di quinta elementare, le verifiche biennali e tante altre piccole tecnicalità scolastiche.
A essere moderatamente pessimisti, la riformina della Moratti è una fotografia dell'esistente, con un impianto culturale vecchiotto, presentata con un linguaggio da consulenti aziendali ibridati dal pedagogismo moderno. Tutti i conti vengono rimandati al futuro, quando arriverà il decreto attuativo della riforma sui "due canali" dell'istruzione superiore, ovvero il sistema dei licei e la formazione professionale. Si vedrà in quell'occasione se la scuola nell'epoca berlusconiana diventerà un congegno di classe, tale da predefinire precocemente le carriere del ceto dirigente e il destino dei subordinati. Fino a quel momento, la riforma è più che altro un vessillo politico del centrodestra, da sbandierare nelle convention. È scritta malino. Non cambia la scuola. Non cambia gli insegnanti. Si rivolge a una famiglia che non c'è. È la scuola delle ideologie: ma forse è soprattutto una nuvola rosa di illusioni politiche, illuminata dalla tinta pastello della pubblicità.