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Repubblica: La nave col nocchiero in gran tempesta

di Eugenio Scalfari

25/06/2006
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la Repubblica

Mentre il nostro giornale è già nelle edicole gli elettori cominciano a votare e continueranno fino alle ore 15 di domani. Ci auguriamo una discreta affluenza e soprattutto auspichiamo una netta vittoria del "no".
Le ragioni di questa scelta sono già state ampiamente illustrate nelle pagine di "Repubblica" da Pietro Scoppola, Gustavo Zagrebelsky e Andrea Manzella, sicché non avrei nulla da aggiungere ai loro argomenti se non elencarli per pura comodità di memoria.
1. Il testo di ottanta pagine che arruffatamente modifica cinquanta articoli della Costituzione infrange il dettato costituzionale che prevede (articoli 138-139) la possibilità di emendamento uno alla volta con votazioni disgiunte.
2. Il conferimento al "premier" di poteri pressoché assoluti a cominciare dallo scioglimento della Camera a suo piacimento.
3. L´annullamento dei poteri del capo dello Stato nella sua figura di suprema magistratura di garanzia costituzionale.
4. La riduzione del Parlamento a un ruolo di pura registrazione dei voleri del premier.
5. L´attribuzione alle Regioni di poteri esclusivi su materie della massima importanza come la sanità, la polizia regionale, l´istruzione.
6. Una ripartizione conflittuale dei ruoli della Camera e del Senato che disarticola e paralizza il potere legislativo.
Infine un sovracosto che aggraverà in misura insopportabile l´onere complessivo della struttura federale penalizzando soprattutto le regioni del nord più ricche e quindi più esposte agli effetti della tassazione. Non a caso questo aspetto del problema è quello che più preoccupa la Confindustria e i suoi associati che temono una permanente impennata della spesa corrente a danno degli investimenti e del debito pubblico già sotto tiro delle agenzie di "rating" e dei mercati.
Queste le ragioni per segnare "no" sulla scheda elettorale. Non si tratta d´impedire la nascita d´un sistema federale ma di bloccare la disarticolazione dello Stato, la paralisi decisionale e lo sfascio definitivo della finanza pubblica. Se si vuole riassumere in uno slogan il risultato della legge costituzionale oggetto dell´odierno referendum, esso non può che essere «meno Stato più burocrazia». Del resto che cosa potevamo aspettarci da un progetto uscito dalla mente di Calderoli?
Molti lettori mi hanno chiesto nei giorni scorsi se la vittoria del "sì" avrebbe come effetto la crisi del governo Prodi. Rispondo: se si trattasse solo di questo non me ne darei gran pensiIn realtà, se dovesse vincere il "sì" accadrebbe ben di peggio che una semplice crisi di governo. L´intero sistema politico italiano è pericolante e occorrerà un enorme sforzo per rimetterlo in piedi. La vittoria del "sì" gli infliggerebbe una mazzata definitiva per mandarlo all´altro mondo.
Temo che questo aspetto non sia ben presente alla mente di chi voterà oggi e domani e dei molti che non voteranno affatto. E temo soprattutto che non sia presente ai molti elettori del Lombardo-Veneto che con il loro "sì" penseranno di esprimersi in favore del federalismo e contro il centrosinistra.
Non è così e basta una semplice riflessione per capirlo. L´effetto politico d´una vittoria del "sì" indebolirebbe la coalizione dei partiti che sostengono il governo; metterebbe in moto le forze centrifughe latenti; renderebbe impossibile il già difficile compito di Padoa-Schioppa di raddrizzare i conti del bilancio e di rilanciare un´economia ferma da anni; spingerebbe l´Italia ai confini dell´Europa privandola di ogni capacità di presenza attiva.
Quanto al governo Prodi, esso resterebbe in carica come quel cavaliere che «andava combattendo ed era morto». I suoi oppositori non otterrebbero neppure questo risultato, sicché si avrebbero effetti negativi per tutti ed effetti positivi per nessuno. Io penso che uno scenario del genere sia da brividi per ogni cittadino, quali che siano le sue idee politiche; ma penso anche che quelli che avrebbero più da temere siano gli italiani "produttivi" e cioè i lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi, gli imprenditori d´ogni dimensione. Sono loro che hanno più da perdere, sono loro che sarebbero i primi ad essere travolti da una crisi di sistema. Perché di questo si tratta, amici lettori: l´Italia è sull´orlo di una crisi di sistema; la vittoria del "no" non risolve quella crisi ma dà tempo al governo di tentarne il superamento; la vittoria del "sì" spalancherebbe una voragine sotto i piedi del paese, cioè di tutti, nessuno escluso.
I leader dei due schieramenti ne sono perfettamente consapevoli e proprio per questo tentano, da entrambi i fronti, di limitare le conseguenze d´una propria vittoria. Tutti si affannano a dichiarare che dopo il voto si potrà e si dovrà negoziare con l´altra sponda per dar vita ad una modernizzazione costituzionale condivisa.
Lo dicono perché sanno che siamo alla crisi di sistema, allo sfarinamento del sistema. Politico, economico, sociale, morale. Lo sanno ma non lo dicono. Non lo dicono per non spaventare la gente, per cloroformizzare l´opinione pubblica. Per poter proseguire i loro mediocri rituali e la loro mediocre gestione d´un potere sempre più evanescente.
Ma si tratta d´un esorcismo inutile perché la realtà è ormai senza veli e non c´è artificio retorico che possa nasconderla.
* * *
Volete degli esempi? Esempi capaci di delineare la vastità della crisi di sistema? Immagino che ogni cittadino pensante sia in grado di veder da solo questa scempia realtà, ma qualche caso esemplare può aiutarci.
C´è stata pochi mesi fa la crisi d´una delle più stimate istituzioni italiane: la Banca d´Italia. Un governatore in combutta o plagiato da uno stuolo di faccendieri di bassissimo conio. Finito sotto inchiesta giudiziaria. Alla fine costretto a dimettersi. Un fatto simile non si era mai verificato. La classe politica è stata incapace di risolvere il problema. L´ha risolto la magistratura. Con l´ausilio delle intercettazioni telefoniche.
Erano passate solo poche settimane ed è scoppiata la crisi del calcio, in incubazione da anni, perfettamente nota a tutti gli addetti ai lavori.
Badate, non si tratta solo d´un gioco, di ventidue uomini in mutande che corrono dietro a una palla, come dicono gli snob sopraccigliosi e sputasentenze. Il calcio è il mondo dei sogni d´una moltitudine, è la principale appartenenza sentita dal popolo. Più della patria, più della classe, più della politica, più della religione. Può piacere o no, ma questa è la realtà.
Ebbene, questa realtà è andata in pezzi. Era un trucco. C´era una "cupola". C´era un´omertà generale. Gli scudetti erano fasulli. Il divismo era fasullo. I bilanci delle società erano fasulli. L´immensa macchina del gioco era tenuta in piedi dall´imbroglio. Il presidente della Federcalcio era colluso con la "cupola" per ottenere la sua rielezione. Il conflitto d´interessi era generale.
Alla fine è intervenuta la magistratura, con l´ausilio delle intercettazioni.
Ancora poche settimane. Scoppia a Bari lo scandalo della Sanità. Il governatore della Puglia scambiava danaro contro danaro. Veniva aiutato con imponenti sostegni per la sua campagna elettorale e dava in contropartita concessioni e convenzioni miliardarie al re della sanità privata, a spese della Regione da lui presieduta. Favoriva con danaro pubblico un vescovo che gli procurava i voti delle suore in violazione plateale del Concordato.
Tutti lo sapevano, nessuno parlava. È dovuta intervenire la magistratura. Con l´ausilio delle intercettazioni.
Sorvolo su un altro caso che ha al suo epicentro l´ultimo discendente balordo di un´antichissima dinastia e il più stretto collaboratore di un uomo politico che è stato per anni vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri del nostro paese.
Sorvolo perché la materia è miserabile. Ma è terribilmente esemplare. Soprattutto per gli aspetti meno rilevanti dal punto di vista penale ma rilevantissimi dal punto di vista del costume. Si è visto e saputo che la nostra maggiore azienda culturale e informativa è al tempo stesso un bordello riservato ai deputati e ai vip dei gabinetti ministeriali.
Tutti sapevano. Che male c´è? Hanno risposto gli interpellati. Che male c´è? Lo fanno tutti. È dovuta intervenire la magistratura, con l´ausilio delle intercettazioni.
Adesso tutti si scagliano contro l´uso e l´abuso delle intercettazioni e attaccano i giudici per scarsa credibilità. Forse hanno ragione. Ma non c´è uno, uno solo degli uomini di potere che vogliono obbligare al silenzio gli intercettatori che si scagli contemporaneamente e con lo stesso vigore contro coloro che hanno tradito la fede pubblica e la loro stessa eventuale buona fede. Si depreca la supplenza della magistratura, ma che cosa ha fatto la politica per riempire il vuoto che ha reso necessaria quella supplenza?
Nulla. Non ha fatto nulla. La politica, soprattutto la pessima politica degli antipolitici, ha cercato di imbiancare i sepolcri e basta. Fini non ha ancora licenziato Sottile. Ruini non ha detto una sola parola sul vescovo di Lecce che portava le suore a votare per Fitto e otteneva nel frattempo il finanziamento degli oratori diocesani. Il ministro delle Comunicazioni e il consiglio d´amministrazione della Rai non hanno speso una sola parola sul bordello ambulante all´interno dell´azienda pubblica.
«Troncare, sopire, sopire, troncare». È questa la regola?
E ancora. Per evitare che il sistema affondi, che la corruzione dilaghi, che il racket si diffonda come una piovra, che le istituzioni operino sempre più come patrimonio privato del re e dei suoi vassalli, valvassori e valvassini; per impedire il corrompimento definitivo della società in tutte le sue componenti, per perseguire gli evasori fiscali, per ridare slancio e speranza ai lavoratori e alle imprese, fiducia ai mercati, innovazione e cultura; ci vorrebbe un governo che governi.
Ma il governo è purtroppo alle prese con una maggioranza che al Senato conta solo due voti. Con partiti divisi tra di loro e al proprio interno. Con un pullulare di Ghini di Tacco. Anzi, di Ghinetti di Tacco. Basta che un senatore eletto da cittadini residenti all´estero voglia assentarsi per una settimana al mese perché le Camere votino un calendario che prevede solo tre settimane di lavoro parlamentare su quattro. Mentre un altro senatore, voglioso di presidenze, si fa eleggere col voto dell´opposizione.
Né sta meglio il centrodestra. Il quale, responsabile in solido dello scatafascio del Paese, si mantiene compatto solo perché animato dalla speranza di riacciuffare il potere entro poche settimane o pochi mesi, per lacerarsi subito dopo come prima ricominciando comunque alla rioccupazione delle istituzioni.
Questo è il quadro, amici lettori. O almeno questo è il mio quadro. Spero d´esser troppo pessimista, ma i dati di realtà voi li avete sotto gli occhi quanto me.
Malgrado tutto di una cosa sono certo: Prodi e la sua squadra sono persone competenti e perbene. Ce la possono fare. Forse sono i soli, oggi come oggi, che ce la possono fare.
Anche per questo vado a votare "no". Per mantenere una "chance" nelle loro mani. Se poi non sapranno utilizzarla o se ne saranno impediti dai loro stessi alleati Ghini di Tacco, allora vadano anch´essi a Male Bolge e saremo «nave senza nocchiero in gran tempesta». Non sarebbe la prima volta purtroppo nella storia inutilmente millenaria di questo Paese.


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