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Repubblica-La Costituzione in mano al ministro secessionista

POLEMICA La Costituzione in mano al ministro secessionista ANDREA MANZELLA Non sono pochi i Paesi d'Europa dove ci sono partiti indipendentisti. Partiti che vogliono separare una o più region...

17/02/2004
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la Repubblica

POLEMICA
La Costituzione in mano al ministro secessionista
ANDREA MANZELLA
Non sono pochi i Paesi d'Europa dove ci sono partiti indipendentisti. Partiti che vogliono separare una o più regioni dal tessuto nazionale e farne una entità statale a sé. Solo in Italia, però, un partito di questo tipo è al governo. E il suo capo vi ha, ufficialmente, la carica di "ministro per le riforme istituzionali e devoluzione". Di tutte le anomalie italiane che questo periodo concentra, questa è certo la più stupefacente.
Il fenomeno della nascita di partiti indipendentisti all'interno degli Stati europei è, di per sé, abbastanza comprensibile nelle sue origini. La storica affermazione dei grandi Stati nazionali è stata legata, si sa, a necessità di sicurezza e di sviluppo economico e politico che superavano le possibilità degli "staterelli" (come furono chiamati nel nostro Risorgimento).

Quando queste necessità pratiche di confini più larghi si sono accompagnate alle lotte per l'autogoverno contro dominanze straniere, l'idea di nazione è divenuta mito fondativo di Stati che assorbivano in sé le antiche partizioni territoriali.
Quando i confini degli Stati nazionali sono a loro volta divenuti troppo stretti per il mercato e per la sicurezza, si è progressivamente definita una linea di frontiera unica europea. E le antiche tradizioni regionali e locali hanno ritrovato, nel più vasto spazio giuridico, una loro ragione di nuova autonomia. Il processo federativo europeo, prima ancora di compiersi tra gli Stati dell'Unione, ha provocato così uno straordinario fenomeno federativo al loro interno. Negli ultimi anni è tramontato dappertutto l'antico assetto centralista degli Stati per lasciare il posto a forme diffuse di pluralismo territoriale. È addirittura venuto, poco tempo fa, il momento dell'incontro a Poitiers, per un programma comune, tra gli antichi Lander della Repubblica federale tedesca e le nuove regioni di quella Francia da secoli modello, sia nel sistema politico sia in quello amministrativo, di Stato accentrato. Un momento che fa capire, meglio di cento teorie, che una ridistribuzione profonda del potere pubblico è avvenuta, sta avvenendo in Europa.
L'Unione europea naturalmente non è estranea a tutto questo. Prima con la sua politica di coesione territoriale che è basata precisamente sul dialogo con i soggetti locali. Poi con la forza costituente dei suoi principi di prossimità e di sussidiarietà che rompono la vecchia rigidità delle competenze e creano circuiti di reciproca sostituibilità tra governi centrali e governi periferici. Infine, con la linea di politica normativa contenuta nei protocolli del progetto di costituzione dell'Unione, che pone, come condizione preliminare della stessa iniziativa legislativa europea, la valutazione del suo impatto amministrativo e finanziario sugli enti regionali e locali.
Attenzione, però. Il processo federativo che in maniera così ampia e varia interessa ormai le realtà sub-nazionali di tutti gli Stati d'Europa, non è volto a ferirne l'intima unità. L'articolo 5 del progetto costituzionale europeo usa una formula che precisa benissimo il quadro delle relazioni tra l'Unione, gli Stati membri e le comunità sub-statali.. "L'Unione - vi è scritto - rispetta l'identità nazionale degli Stati membri legata alla loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie regionali e locali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale".
Insomma, l'evoluzione federativa in corso non cancella né le storie né la necessità, né le attuali dimensioni territoriali degli Stati nazionali. Al contrario, nel grande sistema a rete che è il sistema istituzionale europeo, gli Stati che l'hanno costruito, ne rimangono i pilastri essenziali, i responsabili esclusivi delle reciproche obbligazioni. Sono il punto di sintesi delle autonomie territoriali subnazionali e, insieme, il punto di sutura con gli altri ordinamenti statali.
Era inevitabile, tuttavia, che accanto alla giusta valorizzazione del patrimonio regionale e locale si manifestassero anche fenomeni indipendentistici e tentativi di frattura dell'unità storica conseguita con la fondazione degli Stati nazionali. Le "piccole patrie" hanno così ereditato artificiosamente, in un contesto etico e geo-politico assolutamente mutato, le retoriche delle "nazionalità oppresse" e del diritto all'autodeterminazione dei popoli. Sotto la spinta autoreferenziale dei partiti regionali, si è così travestita da "causa nazionale" qualsiasi malessere locale. E si è concepita la separazione dello Stato come unico rimedio, anche alla più larga delle autonomie.
Ognuno può vedere da questo percorso come i partiti indipendentisti non sono effetto del processo federativo o della regionalizzazione. Ne sono, invece, la degenerazione o, meglio ancora, la negazione. Perché i processi europei di autonomia territoriale sono stati concepiti per liberalizzare forme di governo e sistemi amministrativi, mantenendo però un raccordo moderno di funzionalità tra i mondi del locale, del nazionale, del sovrastatuale. L'indipendentismo, la secessione, il separatismo rappresentano la chiusura fra quei mondi, l'impossibile autarchia, la creazione artificiosa di etnie. La "balcanizzazione" per dirla con una parola di per sé offensiva verso nazioni amiche: qui però riassuntiva dei disastri cui una certa ideologia di "terra e sangue" può condurre...
Ecco perché, in nessuna parte d'Europa, è legittimato a governare, nel governo centrale, un partito del tipo "Lega per l'indipendenza della padania". Ecco perché un delicato processo federativo - come quello italiano di scomposizione di competenze e di loro ricomposizione intorno al concetto unitario di interesse nazionale - rischia ad ogni passo di deragliare posto com'è nelle mani di tale Lega e del suo leader. E questo non perché l'onorevole Bossi sia un incompetente o uno sprovveduto. Ma precisamente per il contrario. Perché il ministro Bossi fa benissimo il suo lavoro, secondo il mandato ricevuto dai suoi elettori, cioè mai rinunciando alla effettiva secessione, ma mascherandola e graduandola con formule dettate dalle circostanze politiche.
Chi grossolanamente tradisce i propri elettori sono semmai gli alleati della "Lega per l'indipendenza della Padania". I collaborazionisti che ne assecondano i disegni, minimizzandone la portata, banalizzandone gli eccessi. O dicendo che la colpa di tutto è di chi ha dato avvio ad un processo federativo di tipo europeo. Come se i nazionalisti corsi potessero decidere della regionalizzazione francese, o i baschi di Herri Batasuna di quella spagnola, o gli irlandesi del Sinn Fein, della devolution nel Regno Unito...
È per questo che la scombinata revisione costituzionale che è davanti al Senato - 35 articoli della Costituzione accatastati alla rinfusa - ha un solo filo che sciaguratamente la percorre. La miccia a fuoco lento per provocare una frattura irreparabile in tutto quello che è ancora la struttura portante della Repubblica. Il sistema sanitario nazionale, la scuola uguale per tutti, i corpi nazionali di polizia, la solidarietà fra i territori a diversa capacità contributiva, lo stato di cittadinanza sociale, la rappresentanza parlamentare unitaria: tutto questo è divenuto relativo o incerto o negato.
Ecco perché questa cosiddetta riforma costituzionale pone - ben al di là del bicameralismo senza Senato di raccordo, del premierato senza freni, del maggioritario senza garanzie - una grande questione nazionale. È, anzi, la vera questione nazionale che il berlusconismo non potrà evitare.


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