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Repubblica-La babele di lingue fra i banchi dove un alunno su tre non è italiano

IL RACCONTO Treviso, nella scuola più multietnica del Nord Est: "Tante difficoltà, ma facciamo cose bellissime" La babele di lingue fra i banchi dove un alunno su tre non è italian...

04/07/2005
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la Repubblica

IL RACCONTO
Treviso, nella scuola più multietnica del Nord Est: "Tante difficoltà, ma facciamo cose bellissime"
La babele di lingue fra i banchi dove un alunno su tre non è italiano
Ventiquattro nazioni di origine Dal Marocco all'India, dalla Croazia al Pakistan, dal Camerun alla Serbia e alla Cina
E il preside racconta: "Viviamo un'esperienza affascinante e anche in tutto il nostro paese l'integrazione funziona"
DAL NOSTRO IINVIATO


roberto bianchin
FOLLINA (TREVISO) - Neanche la sensibilità inquieta di Antonio Fogazzaro poteva immaginare che all'ombra del suo piccolo mondo antico sarebbe fiorito, più di cento anni dopo, un piccolo mondo arcobaleno dipinto coi colori di tutte le lingue del globo. Perché la scuola che porta il nome del romanziere vicentino dell'ottocento, adagiata sulle dolci colline del trevigiano, è diventata la scuola più interetnica del Nord Est, con 194 alunni stranieri su 702 (il 27 per cento), che provengono da 24 paesi diversi. Una babele di lingue e di culture, ma anche un esempio felice di convivenza. Un piccolo mondo "problematico ma affascinante, in cui pur tra molte difficoltà riusciamo a fare delle cose bellissime", dice il preside Gianni Busolini.
Come ha cambiato il volto ai paesi, l'onda migrante degli ultimi anni lo ha cambiato anche alle scuole. Follina, un delizioso borgo di 3.600 abitanti con una strepitosa abbazia cistercense del trecento, arrampicato sulla statale che da Treviso va a Feltre, ne ha accolti tanti di immigrati. Perché nelle piccole aziende della zona, dal tessile al legno alla meccanica di precisione, c'era lavoro. Almeno fino a ieri, oggi la crisi si fa sentire anche qui.
E c'erano le case. Non tanto perché costassero meno di quelle di città ("C'è una speculazione anche qui che è una vergogna" tuona il preside), quanto perché c'erano tante case vecchie e abbandonate dove trovare rifugio. "Molte famiglie di immigrati vivono in vecchie catapecchie fatiscenti" accusa il preside.
L'integrazione, per fortuna, "non è male - dice - non ci sono mai stati episodi di intolleranza in paese". A scuola, nonostante i soliti problemi ("servirebbero più posti e più risorse"), l'integrazione funziona. La scuola, che è un istituto "comprensivo" di elementari e medie, 94 insegnanti, si è guadagnata un riconoscimento tra i modelli italiani di integrazione nel libro di Massimiliano Melilli "Mi chiamo Alì" pubblicato dagli Editori Riuniti. La maggioranza dei bambini stranieri, 115, fa le elementari. La comunità più numerosa, 60, è quella dei marocchini. Vengono da tutto il mondo: Cina, India, Pakistan, Bangladesh, Macedonia, Kossovo, Albania, Serbia, Croazia, Romania, Moldavia, Bielorussia, Polonia, Ucraina, Marocco, Senegal, Camerun, Burkina Faso.
Il primo scoglio, per tutti, inevitabilmente è l'italiano. Fanno più fatica ad impararlo i cinesi, i marocchini e gli albanesi, ne fanno meno i rumeni e gli altri bimbi dell'est. Il problema più grande riguarda quei bambini che non hanno fatto la scuola materna e che quando arrivano in prima elementare non sanno una parola di italiano: "È come se fosse il primo giorno che sbarcano in Italia". E nelle prime classi delle elementari i bambini stranieri sono il 30 per cento degli alunni, in altre classi si arriva anche al 50 per cento. Ma più difficile è per quelli che arrivano senza sapere l'italiano in quinta elementare o addirittura in terza media, anche perché "parlano e scrivono solo nella loro lingua e hanno già acquisito la scolarità dei loro paesi d'origine, quindi il loro processo di apprendimento sarà più lento e più complesso".
In un libro, che ha per titolo "Sotto lo stesso sole", questi bimbi hanno raccontato le loro storie e le hanno disegnate. Come sono arrivati in Italia, cosa ricordano dei paesi che hanno lasciato, quali le feste che hanno visto, quali le favole che hanno ascoltato. Un bimbo del Kossovo ha raccontato la scena di quando, durante la guerra nell'ex Jugoslavia, ha visto uccidere i suoi nonni, bruciati davanti ai suoi occhi. Manprennt, una ragazzina indiana di 13 anni, ha scritto che il suo paese ha pianto "quel fatidico giorno" che lei se n'è dovuta andare. Ma ha aggiunto che "la luce che mandano gli occhi delle persone", adesso, le fa "crescere nel cuore la speranza".


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