Repubblica: L´università che non premia il merito
SALVATORE SETTIS
Che tempi mai sono questi, quando si parla di università ogni giorno per denunciare scandali veri o presunti, e si continua a rimuovere dalla coscienza pubblica il suo problema centrale, quello della qualità? E´ vero, ci sono in qualche università test truccati, lauree honoris causa date con leggerezza, presidi e rettori intriganti, carriere per gli amici degli amici e per i figli di (certi) papà e mamme. E´ vero, tali nequizie vanno denunciate e rimosse. Ma se anche si congegnasse il più drastico dei repulisti e lo si attuasse in un mese, l´università italiana resterebbe drammaticamente lontana da quella che vorremmo. Qualità della ricerca e degli studi e ricambio generazionale nella docenza sono problemi che non stiamo affrontando, che si vanno incancrenendo a ogni giorno che passa. Scandali e disfunzioni piccole e grandi fanno parte del problema, aiutano a diagnosticarlo: ma questa diagnosi non è la cura dell´università italiana, e chi vuole illudersi che lo sia inganna colpevolmente se stesso e gli altri.
Nella ricerca come nell´alta formazione, si è creato un grande circuito mondiale, che include i Paesi più avanzati (in prima linea gli Stati Uniti) ma ormai anche Cina e India, regolato da una durissima competizione: ognuno cerca di assicurarsi i migliori talenti, offrendo loro le migliori condizioni, attraendoli e reclutandoli il più presto possibile, nel loro periodo più creativo. La nazionalità d´origine conta sempre meno, contano solo il merito e i risultati conquistati sul campo. Questo circuito della ricerca accelera il progresso degli studi e favorisce i giovani più brillanti, proiettandoli sullo scenario mondiale delle loro discipline molto più rapidamente che in passato. Quello che sta accadendo in Italia è esattamente il contrario. Unico in Europa, il nostro sventurato Paese ha bloccato da quasi due anni ogni nuovo reclutamento di professori (prima e seconda fascia), obbligando i giovani più bravi a cercar lavoro altrove: in tal modo, l´enorme investimento in denaro ed energie che l´Italia ha fatto su di loro va a beneficio di altri e più lungimiranti Paesi. Un sistema concorsuale fallimentare, imperniato su scelte corporative e localistiche, ha finito col favorire l´anzianità a scapito del merito, e ci ritroviamo oggi con la classe docente più vecchia d´Europa: ma nulla si è fatto per correggere questa stortura, che "Nature" ha bollato come reverse age discrimination, una discriminazione a scapito dei giovani. La legge Moratti, approvata nelle ultime settimane della scorsa legislatura, provò a introdurre un reclutamento a livello nazionale, ma a un anno e mezzo di distanza non esistono ancora i regolamenti applicativi, che qualsiasi buon funzionario saprebbe scrivere in una settimana. C´è chi parla invece di tornare al sistema concorsuale localistico, volendo contro ogni evidenza ignorarne le storture; c´è chi sostiene che l´Italia (unica in Europa) dovrebbe reclutare solo al terzo livello ("ricercatori"), con promozioni interne ad personam, per anzianità: come se si trattasse di impiegati delle Poste. C´è chi, dimentico dei guasti provocati da altre "stabilizzazioni" ad personam nel 1980, invoca una generalizzata stabilizzazione ope legis, in seconda terza o quarta fascia, in nome della "lotta al precariato": senza voler vedere che, più precari dei precari, abbondano in Italia giovani brillantissimi ancora in cerca del loro primo lavoro di ricerca e d´insegnamento, e che è su di loro che dobbiamo puntare.
Intanto il Consiglio Nazionale delle Ricerche boccheggia, i fondi pubblici di ricerca e gli investimenti in ricerca delle imprese fanno a gara nell´arretrare di anno in anno, gli stipendi di ricercatori e docenti sono fra i più bassi d´Europa. Ai nostri giovani più dotati e brillanti si apre una sola scelta, emigrare o giacere in una lunga e frustrante anticamera. Per converso, mentre altri Paesi d´Europa (Gran Bretagna, Francia e Germania, ma anche Belgio, Olanda, Spagna) hanno elaborato strategie assai efficaci di attrazione dei migliori talenti, pochissimi stranieri scelgono di trasferirsi in Italia. A noi toccherà dunque celebrare in gran pompa i centenari di Galileo e di altri grandi scienziati italiani del passato, e assistere impotenti alla fuga dei nostri talenti migliori, autocondannandoci alla mediocrità? Dovremo inchinarci al potere del Fato, quando veniamo a sapere che i docenti oltre i 60 anni sono in Italia (in percentuale) il quintuplo che negli Stati Uniti? Dovremo gioire quando ci vien detto che partono finalmente (in ottobre!) i bandi di ricerca ministeriali per i progetti di interesse nazionale per il 2007, e dimenticare che anche col recentissimo aumento siamo comunque agli ultimi posti d´Europa?
Università e ricerca sono dappertutto uno dei principali motori dello sviluppo, e camminano in tutto il mondo a ritmi serrati in un clima sempre più competitivo, richiedono costanza degli investimenti e qualità delle scelte. Interrompere anche per un solo anno il flusso dei reclutamenti e dei finanziamenti può avere conseguenze drammatiche: studiosi che emigrano attratti da migliori condizioni di lavoro, gruppi di ricerca che si disfanno, progetti che si arenano, energie che si disperdono, scoraggiamento e frustrazione diffusa, demotivazione anche dei più tenaci. Questo è lo spettacolo che stiamo offrendo oggi a noi stessi, in una paralisi senza precedenti, a cui né la Finanziaria né altre leggi sembrano ad oggi voler rimediare. Fino a quando? Che tempi sono questi?