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Repubblica-L'università che non c'è

In margine all'intervento di Pietro citati e ad alcune repliche L'università che non c'è LUCIANO CANFORA ...

17/06/2004
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la Repubblica

In margine all'intervento di Pietro citati e ad alcune repliche
L'università che non c'è
LUCIANO CANFORA


Accade a coloro che osano sostenere apertamente che qualcosa non va e che, ciò facendo, si discostano da un più o meno conformistico consensus universorum, di essere mal sopportati e se del caso redarguiti. E' quanto sta accadendo a Pietro Citati per aver scritto su questo giornale che il livello medio degli studi nelle facoltà di Lettere del nostro paese sta precipitando verso il basso, in conseguenza della riforma Berlinguer-Zecchino, mantenuta in piedi dall'attuale ministro.
Le reazioni irritate contro Citati (penso a quella di Carlo Bernardini su l'Unità del 10 giugno o a quella di Aldo Schiavone) fanno pensare a quello sconosciuto ateniese che, quando Demostene parlava e ripeteva che "le cose vanno davvero male", lo interrompeva puntualmente gridando "e allora cosa dovremmo fare?". Al ripetersi dell'incidente Demostene alla fine replicò a sua volta con una domanda: "Piuttosto ditemi voi cosa gradite di sentirvi dire!". E con ciò intendeva significare che, in una situazione sempre più deteriorata, non si può tappare la bocca a chi, oltre tutto incolpevole, formula la sua denuncia pretendendo proprio da lui la soluzione. I critici di Citati in verità sono più sofisticati dello sconosciuto ateniese: per zittire l'incauto gli spiegano non senza qualche ruvidezza che va tutto bene e che il problema non esiste.
Effettivamente al punto in cui ci troviamo, e soprattutto per l'immobilismo dell'attuale ministro in materia universitaria, la pars construens appare molto difficile. Si sono persi altri anni e questo rende ogni mutamento o rettifica alquanto più complicati.
Ciò non toglie che sia salutare mettere in chiaro almeno due punti.
1) Non è vero che la riforma definita "3+2" nel modo in cui è stata attuata in Italia rassomigli agli ordinamenti europei. Il corso triennale, in Francia, porta ad una "licence", non ad un titolo di "dottore", ad una "laurea". La differenza è molto rilevante: da noi il sottinteso, anzi la esplicita persuasione, è che in 3 anni e con programmi "leggeri" e la finzione di una effettiva "frequenza" si ottenga ormai l'analogo di ciò che prima si otteneva con più lungo ed ex hypothesi più impegnativo percorso. Altrove non è affatto così: nomi e cose si corrispondono in modo più onesto, più limpido, più responsabile. Dunque l'abusato ritornello "stiamo facendo come in Europa" è falso.
2) L'altro addebito è che i critici del "3+2" non hanno capito la società di massa. Queste paternali un po' demagogiche lasciano il tempo che trovano. E' evidente che il fatto principale che ha investito l'università è il mutamento della popolazione che la abita. E' evidente che le scuole sono sempre più scadenti (e le SSIS, nuova forma dei corsi abilitanti, servono a poco). Ma allora, ancora una volta, si chiamino le cose col loro nome. Si dica apertamente - non v'è nulla di male a parlar chiaro - che alla funzione che fu della scuola post-obbligo deve ormai far fronte quella che un tempo si chiamava università; e che quindi l'Università "vera" dev'essere creata in isole molto ben selezionate. Come sempre è salutare la rispondenza tra nomi e cose. Questo darebbe a ciascun ruolo un senso: l'unica cosa veramente intollerabile è che alcuni si autoproclamino "punti di eccellenza" e pretendano di aver già fatto quello che invece dovrà essere un compito nazionale, da affrontare con onestà e selezione severa (di docenti in primis): ricreare l'università che non c'è.


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