ROBERTO MANIA
ROMA - Cade l´obbligo scolastico fino a 16 anni: l´ultimo anno, un quindicenne, anziché stare sui banchi di scuola, potrà andare a fare il garzone in una bottega o in un´officina con un contratto di apprendistato. Lo prevede un emendamento, fortemente voluto dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, approvato ieri dalla Commissione Lavoro impegnata nell´esame del cosiddetto "collegato-lavoro" alla Finanziaria.
Il disegno di legge passerà lunedì in Aula, ma la norma - in un Paese nel quale l´abbandono scolastico sfiora il 22 per cento contro una media europea di circa il 15 per cento - ha subito scatenato lo scontro politico e culturale. A sostegno dell´emendamento (presentato dal relatore Giuliano Cazzola) sono scesi in campo i due ministri direttamente interessati: Sacconi e Mariastella Gelmini (Pubblica Istruzione). Con loro la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, e quello della Confartigianato, Giorgio Guerrini. Contro le opposizioni politiche (Pd e Idv), tutti i sindacati Cgil, Cisl e Uil (per una volta uniti) nonché gli artigiani della Cna.
Una bagarre che ha colto di sorpresa lo stesso relatore Cazzola: «È una tempesta in un bicchier d´acqua. È solo una possibilità prevista per chi dopo le medie rischia di non fare sostanzialmente nulla per un biennio in attesa di compiere i 16 anni e potere andare a lavorare». La tesi del ministro Sacconi è che non si abbassi l´età di accesso al lavoro («pensarlo è una porcheria», ha detto) bensì si consenta, attraverso un apprendimento in un luogo di lavoro, di acquisire «una qualifica e cioè un titolo di studio del secondo ciclo». Certo i numeri dei ragazzi che rimangono in uno stato di inattività, una volta terminate le scuole medie, fanno impressione: secondo l´ultimo rapporto dell´Isfol (l´istituto che per il ministero si occupa di formazione), sono 126 mila (pari al 5,4 per cento) i giovani tra i 14 e i 17 anni fuori da qualsiasi percorso di istruzione e formazione.
Anche sulla base di queste cifre, Sacconi sostiene da tempo che si debba rafforzare l´istituto dell´apprendistato e che questo serva alle imprese, soprattutto quelle piccole. La conferma è arrivata con una dichiarazione della Marcegaglia secondo la quale «la norma viene incontro all´esigenza che c´è soprattutto in alcune zone del paese dove a 14 anni si interrompono gli studi e si va al lavoro». Fenomeno - va detto - che interessa in particolare il nord e che comunque finisce inevitabilmente per schiacciare i giovani lavoratori nel sommerso essendo vietato lavorare a 14 anni. In ogni caso, ha aggiunto la Marcegaglia: «Serve più formazione e più scuola. Ma questa misura può essere letta in un´ottica positiva se è nella logica di dare una risposta al problema di chi abbandona la scuola».
Molto diverso l´approccio di Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro nel governo Prodi: «Questo governo, ammaestrato dagli errori del passato, non scegli più lo scontro su elementi simbolici come fu sull´articolo 18. Bensì, attraverso norme, codicilli, emendamenti e sub-emendamenti, in modo sapiente e chirurgico, manomette il diritto al lavoro e all´istruzione».
A incrinare la saldezza del fronte imprenditoriale è stato il presidente della Cna, Ivan Malavasi: «Sono sorpreso dalla scelta del governo che non ha nemmeno consultato le parti sociali. Credo piuttosto che i livelli di istruzione vadano innalzati e che per risolvere il problema che dice il ministro ci siano altre strade». Da lunedì la parola all´Aula di Montecitorio.
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