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Repubblica-L'obbligo del dialogo

L'OBBLIGO DEL DIALOGO GIULIO ANSELMI Pura immagine. Il giudizio sulla nuova stagione aperta in Confindustria da Luca di Montezemolo arriva spietato come una sentenza senza appello. La pro...

16/07/2004
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la Repubblica

L'OBBLIGO DEL DIALOGO
GIULIO ANSELMI
Pura immagine. Il giudizio sulla nuova stagione aperta in Confindustria da Luca di Montezemolo arriva spietato come una sentenza senza appello. La pronunciano i nemici interni ed esterni, coloro che nel governo, tra gli industriali e nei sindacati vorrebbero poter dimostrare che quella del presidente è una nobile illusione, ma un'illusione: con la Cgil non si può trattare, la guidino Cofferati o Epifani la maggiore organizzazione sindacale resterà schiava del suo passato e del potere della Federazione dei metalmeccanici.
Metterla così fa comodo a tanti: al ministro del welfare Roberto Maroni e al sottosegretario Maurizio Sacconi che flirtavano con la precedente gestione di Antonio D'Amato interprete di una linea di rottura e sono rimasti spiazzati dal nuovo corso; ai duri dell'associazione imprenditoriale, nostalgici della stagione dello spaccatutto; ai sindacalisti come Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale Fiom, convinto che a cambiare siano stati solo i toni, non la sostanza.

E non dispiace ai vertici di Cisl e Uil, infastiditi dalla luna di miele tra Montezemolo ed Epifani (i soli a darsi del tu) e interessati a riprendere il ruolo di interlocutori privilegiati nelle trattative. Ma si tratta di un calcolo miope: trasformare l'episodio dell'interruzione del confronto al suo nascere nel sintomo dell'impossibilità di un nuovo corso nelle relazioni industriali, significa accettare che la crisi italiana si aggravi fino a un punto di non ritorno. Come se la deriva della politica trascinasse l'intero Paese sulla via dell'impotenza e della rinuncia e il "fare sistema" evocato da Ciampi e Montezemolo acquistasse una drammatica valenza capovolta.
In realtà era inevitabile che dopo l'enunciazione di principio del ritorno al metodo della concertazione, concausa dell'inizio di una (breve) luna di miele tra Confindustria e sindacato, si dovessero fare i conti con i problemi concreti. Concertazione, nella nuova stagione, dovrà significare "dialogo", senza mitizzazioni: non si può dimenticare, nonostante i grandi benefici complessivi del protocollo del ?93, che i tavoli tripartiti tra governo e parti sociali si sono trasformati, in alcune occasioni, in freni allo sviluppo del Paese. Anche nel mondo operaio ci sono parecchie perplessità: da Livorno, pochi giorni dopo il discorso d'investitura dell'Eur, la Fiom ha fatto sapere che i vecchi strumenti erano irripetibili. Ma i temi già condivisi sono molti: dagli investimenti su ricerca e innovazione allo sviluppo del Mezzogiorno, dalla crescita delle imprese al taglio dell'Irap.
Lo strappo sui contratti nasce da un conflitto interno al sindacato. È stata la Cisl a pretendere che tra le priorità contenute nel documento confindustriale e destinate a diventare oggetto di altrettante trattative, figurassero accanto allo sviluppo, all'inflazione, ai fondi pensione. Altrimenti ce ne andiamo noi, aveva minacciato Pezzotta. Il rapporto con Bombassei, l'"asse bergamasco", aveva funzionato ed Epifani si era trovato in agenda un tema che, secondo lui, doveva restare fuori. Non si tratta di una questione di puntiglio. Il leader Cgil teme che la trattativa sulle politiche salariali e contrattuali, se inizia subito, vada a impattare col rinnovo del contratto dei metalmeccanici, che deve essere firmato entro l'anno, provocando un rinvio che la potentissima Fiom non gli perdonerebbe.
Quello dei contratti è un fronte che vede contrapposte le due maggiori confederazioni, mentre la Uil si cura principalmente del livello dei salari. Attualmente esistono due livelli di contrattazione, nazionale e aziendale. La Cisl è favorevole all'innovazione di una contrattazione territoriale, la Cgil considera un totem l'esistente: la posta in palio è naturalmente la rappresentatività, il peso di ciascun sindacato, e il tentativo di quello cattolico di accrescere il proprio. Per gli industriali il problema principale è non introdurre un terzo livello, che risulterebbe insostenibile per le piccole imprese. Ma sotto il conflitto cova la cenere di vecchi incendi: avere inserito nel documento una frase sull'applicazione "della legislazione esistente" sembrerebbe pleonastico e ovvio, ma, nel contesto, ha rappresentato un diretto riferimento alla legge Biagi, subita dalla Cgil, e quest'ultima lo ha interpretato come un gratuito dito in un occhio. Come nella verifica di governo, irrisolte difficoltà nei rapporti personali hanno aggravato il contrasto.
Ieri Montezemolo ha ribadito che il Paese ha bisogno di dialogo e ha auspicato un segnale unitario dai sindacati. Ha ragione. Il ritorno alla stagione degli accordi separati, come sulle pensioni e sull'articolo18, svuoterebbe le aperture di credito che hanno accompagnato la sua scelta e lo renderebbe meno "magic" (come lo hanno definito i giornali anglosassoni). E questo sarebbe già un problema, dato il bisogno di riferimenti credibili. Ma il problema più serio sarebbe il riproporsi di una stagione di intollerabile conflittualità. Invece, mentre è plasticamente evidente l'inadeguatezza del governo a svolgere il suo compito, affrontando con determinazione l'emergenza economica, cresce l'esigenza che imprenditori e sindacati facciano la loro parte, per produrre più ricchezza e dividerla più equamente. I primi devono dimostrare di saper interpretare le responsabilità di classe dirigente, i secondi devono essere consapevoli che un rivendicazionismo selvaggio e un isolamento settario colpirebbe innanzitutto loro.


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