Repubblica: L'innovazione e la furbizia
La manovra economica del governo Berlusconi è il manifesto politico del nuovo "tremontismo".
Massimo Giannini
La manovra economica del governo Berlusconi è il manifesto politico del nuovo "tremontismo". Un impasto di misure che riflettono finezze culturali emergenti e furbizie tecniche evidenti. Un pacchetto di norme che oscillano tra il populismo liberale e il dirigismo compassionevole.
Il «metodo» introdotto dal ministro dell´Economia è senz´altro innovativo. Un piano triennale che quantifica in 34,8 miliardi gli interventi di risanamento e concentra le manovre successive in due soli provvedimenti è, di fatto, una riforma implicita della sessione di bilancio: bypassa la mediazione del «Parlamento che emenda» e riafferma il primato del «governo che decide». È, in sostanza, la prosecuzione con mezzi economici della «militarizzazione della politica» descritta da Giuseppe D´Avanzo nei campi della giustizia e della sicurezza. Certo, con un Consiglio dei ministri volutamente costruito come un consiglio d´amministrazione è più facile approvare un «gosplan» di 100 articoli in nove minuti e mezzo. E presentando agli italiani solo la «copertina» con i titoli del decreto e del disegno di legge collegato, rinviando ai prossimi giorni la suddivisione delle singole voci tra l´uno e l´altro e i dettagli fondamentali per capirne davvero i costi e i benefici per i cittadini, è più facile propagandare la propria «merce». Nelle prossime ore ogni sorpresa (verosimilmente più negativa che positiva) è ancora possibile. Ma intanto prendiamo il buono che c´è in questo metodo. Primo, la quantità del risanamento: la riconferma del pareggio del bilancio al 2011 come «impegno solenne assunto con la Ue dalla Repubblica italiana» non era affatto scontata, vista anche l´esperienza nefasta della legislatura berlusconiana 2001/2006. Secondo, la qualità dei vincoli di bilancio: la fissazione preventiva delle spese da tagliare nel triennio, varata in un´unica soluzione, può contribuire a spezzare il circuito (a volte vizioso, quasi sempre paralizzante per l´attività legislativa) dell´iter procedurale Dpef-Legge Finanziaria-Relazione unificata, e può ridurre al minimo il rituale (a volte indecoroso, quasi sempre penalizzante per i saldi finali) dell´assalto alla diligenza nelle aule parlamentari.
Il «merito» del pacchetto assemblato da Tremonti non è disprezzabile, anche se contiene qualche contraddizione e molte incognite. Ci sono rilanci coraggiosi, come la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Ma anche rinunce colpevoli, come il rinvio della soppressione delle province e delle comunità montane. In linea con il suo fortunato libro «La paura e la speranza», il piano ha un´esplicita impronta «di sinistra» neo-obamiana, ma anche un´implicita componente di demagogia vetero-democristiana. Il caposaldo noto della manovra sta nella confermata Robin Hood Tax, con la quale - come ha scritto il Foglio - si punta «a ottenere un po´ di gettito e molto consenso su petrolieri, assicurazioni e banche». La novità sta nel fatto che i proventi della mini-stangata sul greggio e sulla finanza andranno ad alimentare un Fondo per i pensionati al minimo, che con una carta prepagata potranno versare bollette su utenze domestiche ridotte e comprare beni alimentari nei supermarket con lo sconto. È una trovata «popolare», quasi oltre i limiti del pauperismo, che tradisce persino un eccesso di venatura ideologica. Intanto fa un certo effetto sentire un premier e un ministro di destra che parlano di «extra-profitti»: per liberisti che si fregiano di conoscere la scuola di Chicago quella formula lessicale dovrebbe essere quasi una contraddizione in termini. E poi non ci si salva l´anima liberale citando i precedenti anglo-americani come la «Eccessive profit Act» del 1863: per il Tremonti post-mercatista di oggi, quasi come per le guardie rosse di Rifondazione della prima Finanziaria di Prodi, «anche i petrolieri e i banchieri piangano». Detto questo, la norma ha un suo indubbio appeal, proprio perché collegata a una «Carta per i poveri» che ricorda, in forme più moderne, la vecchia «tessera del pane»: sarà molto difficile combatterla, per l´opposizione e per il sindacato. Se c´era da colpire da qualche parte, meglio farlo dove ci sono risorse, piuttosto che bastonare il solito ceto medio. E se qualche scelta analoga a vantaggio dei redditi più bassi l´avesse fatta anche l´Unione, magari anche solo per importi simbolici, forse avrebbe limitato la «Walterloo» del 13 aprile.
Ma in questa tremontiana virtù apparente si nasconde anche un doppio vizio nascosto. Un vizio tecnico: come hanno rilevato Tito Boeri e poi Marzio Galeotti sul sito lavoce.info, tassare gli extraprofitti dei petrolieri, in Italia, significa colpire soprattutto l´Eni, che è l´unico vero produttore di greggio e con 6,6 miliardi di utili nel 2007 stacca per lo Stato una cedola da 1,6 miliardi. L´aggravio di tassazione rischia di tradursi in una banale partita di giro: il Tesoro si prende in imposte quello che l´Ente guidato da Paolo Scaroni gli versava in dividendi. Un vizio politico: senza prevedere sanzioni, è fatale che gli aggravi fiscali ai danni degli altri petrolieri (raffinatori e distributori, come Saras o Erg) saranno compensati con rincari del carburante alla pompa a danno dei consumatori. E questa, alla fine, diventa un´altra partita di giro: quello che Robin Hood dà ai poveri con la tassa sugli extra-profitti i ricchi se lo riprendono aumentandogli il prezzo dei rifornimenti.
«L´aumento delle tasse non rientra nella nostra filosofia politica», ribadisce il ministro dell´Economia. E questo, dopo la massiccia tosatura della pecora di Palme in questi anni è senz´altro un bene. Ma anche qui si nasconde un´incognita, forse la più grande di questa manovra. È vero che non mette le mani nelle tasche degli italiani, e contiene un ricorso massiccio e doveroso ai tagli di spesa. Ma ancora una volta le vittime predestinate sono le regioni e gli enti locali, che stavolta non potranno inasprire le imposte e le addizionali. Salvo sorprese delle prossime ore, è inevitabile che scattino tagli altrettanto massicci ai servizi e al welfare locale. Non solo: a sentire l´allarme dei sindaci, e persino quello del governatore della ricca Lombardia, avamposto padano del futuro federalismo fiscale, rischiano di tornare alla ribalta persino i ticket sanitari da 10 euro sulle prestazioni specialistiche, che il governo Prodi aveva introdotto due anni fa e poi congelato lo scorso anno. Questa sì che sarebbe una beffa da Prima Repubblica. Più che Robin Hood, Cirino Pomicino.