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Repubblica-"Italia in declino, ultima in Europa"

"Italia in declino, ultima in Europa" conto corrente, più di cento euro polizze e pizzerie, rincari record caro energia, il doppio degli inglesi produzione industriale ...

28/04/2005
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la Repubblica

"Italia in declino, ultima in Europa"
conto corrente, più di cento euro
polizze e pizzerie, rincari record
caro energia, il doppio degli inglesi
produzione industriale in picchiata
la laurea resta un sogno
meno ricercatori del Portogallo
la zavorra della burocrazia
2,3%
12%
Confindustria: i servizi più cari, l'istruzione più bassa
la competitività
Ecco il primo rapporto sullo stato del Paese presentato oggi dagli imprenditori
Il reddito procapite nazionale è tornato ai livelli degli anni Settanta
LUISA GRION


ROMA - E' un paese dove si produce di meno e si paga di più. Dove l'istruzione arranca e il costo dei servizi e della burocrazia possono ancora sembrare montagne invalicabili. Dove il declino non è più una sensazione, ma un'inesorabile serie di cifre.
A metterle assieme è stato il Centro Studi della Confindustria, elaborando il primo check-up completo sullo stato della competitività in Italia. L'analisi, che verrà aggiornata ogni tre mesi e che oggi sarà presentata al direttivo e alla giunta degli imprenditori, traccia un responso che lascia pochi dubbi: il Paese è in piena fase di rallentamento, in alcuni casi è addirittura tornato indietro di trent'anni. Basti pensare al livello del reddito pro capite: nel 1986 quello italiano sembrava aver preso il volo, era più alto del 6 per cento rispetto alla media europea (un anno dopo, l'allora premier Craxi avrebbe annunciato il "quinto posto" dell'Italia nella classifica dei "potenti" e il sorpasso sull'Inghilterra). Nel 2003 il suo livello si è riabbassato alla media Ue, come negli anni Settanta. Stesso risultato se il paragone viene fatto con il reddito pro capite Usa: poco più di vent'anni fa il nostro era l'80 per cento di quello medio americano, ora è scivolato al 70. D' altra parte, fa capire Confindustria, i favolosi anni della crescita - boom economico, culle piene e morale alto - sono davvero un ricordo lontano. Se la produzione del Paese, trent'anni fa viaggiava a tassi di crescita del 3 per cento, oggi annaspa all'1. E' vero che ora di mezzo c'è anche il caro petrolio e l'euro forte che penalizza le esportazioni (la quota italiana sul commercio mondiale, dal 1996 al 2004, è scivolata dal 4,8 al 3,8 per cento). Ma è altrettanto innegabile che gli altri partner europei hanno saputo parare i colpi meglio di noi: sia per quanto riguarda la capacità di produrre (il Pil della Ue nel 2004 è cresciuto ad un ritmo del 2,2 per cento), che per quanto riguarda quella di vendere (Francia e Germania hanno mantenuto stabili al 5 per cento le loro quote sul mercato mondiale).
Nella crisi che ci affligge, dunque, ci sono precise responsabilità nazionali. Prezzi che non diminuiscono - puntualizza la Confindustria - e ricerca che non viene sostenuta. E poi l' elettricità e i servizi: un'impresa italiana, per produrre, paga una bolletta più alta del 20 per cento rispetto alla media Ue . Il peso della burocrazia la soffoca: per aprire una attività economica in Italia ci vogliono 9 procedimenti e 3.800 dollari, in Danimarca ne bastano quattro ed è tutto gratis. Se il consumatore italiano che apre un conto corrente in banca paga 113 euro all'anno per usufruire di una quota standard di servizi, il suo collega olandese - per lo stesso standard - ne paga 25. Quello francese 89. Il costo medio Ue è di 75 euro l'anno. E il guaio, afferma lo studio, è che a differenza dei prezzi di ristoranti, alberghi, pizzerie - ancora alti, ma con prospettive di rallentamento - per quelli dei servizi bancari è previsto un ulteriore balzo in avanti. Né il futuro lascia sperare meglio: alla ricerca , che dovrebbe essere la spinta propulsiva della crescita di un Paese, l'Italia dedica investimenti per l'1,1 per cento del Pil. La media europea è del 2, ma la Francia destina il 2,2 . Germania e Danimarca il 2,5. La Svezia il 4,7. Ci sono pochi laureati ( il 12 per cento fra i giovani fra i 25 e i 34 anni), pochissimi ricercatori (il 2 per mille rispetto agli occupati contro una media europea del 6) e dal 1991 al 2001 il loro totale è diminuito ad un tasso dell'1,6 per cento l'anno. "La qualità del capitale umano - conclude il check up - nel nostro paese è relativamente bassa".


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