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Repubblica it-"Gli studenti pensino al lavoro futuro" orientamento, scuole in prima linea

Intervista a Giancarlo Gasperoni, direttore dell'Istituto Cattaneo. C'è grande incertezza nel futuro perché i ragazzi hanno una "propensione all'attesa" "Gli studenti pensino al lavoro futuro" or...

15/11/2005
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la Repubblica

Intervista a Giancarlo Gasperoni, direttore dell'Istituto Cattaneo. C'è grande incertezza nel futuro perché i ragazzi hanno una "propensione all'attesa"

"Gli studenti pensino al lavoro futuro" orientamento, scuole in prima linea

di FEDERICO PACE

Giancarlo Gasperoni "La funzione di orientamento nelle scuole rimane ancora troppo debole. Buona parte delle scelte scolastiche superiori, che condizionano poi i percorsi universitari e occupazionali, sono determinate soprattutto delle origini familiari e da elementi di genere più che dalle informazioni raccolte. E poi non si è ancora affrontato seriamente il tema della troppo marcata differenza sociale tra i diversi corsi di studio". Giancarlo Gasperoni, direttore dell'Istituto Cattaneo e autore, insieme a Marco Trentini, della ricerca "Le nuove generazioni tra orientamento, studio e lavoro" ha le idee chiare sulle cose che si potrebbero fare per aiutare i giovani lungo percorso che porta dalla scuola al lavoro.

Quali possono essere le ragioni di questa incertezza che sembra governare i giovani quando si chiede di parlare di mestieri o professioni?
Si può dire che tra i giovani ci sia un'incertezza strutturale. Un elemento che non direi caratterizzato dalle recenti trasformazioni del mondo del lavoro verso una più forte flessibilità o precarizzazione, quanto da una loro certa propensione all'attesa. Non si prendono pena in termini concreti delle cose che sentono troppo lontane, anche se il futuro spesso viene determinato dal passato.

Cosa vuol dire?
La critica rivolta alla Riforma secondo cui con le nuove norme si anticiperebbe la scelta dei propri destini professionali, è un po' debole. Perché di fatto è già così. La scelta è già molto caratterizzata in funzione del passato e del futuro.

Cosa si dovrebbe fare?
L'orientamento dovrebbe assecondare competenze e aspirazioni dei ragazzi. Invece c'è la percezione di una gerarchia molto, forse troppo, strutturata tra i diversi tipi di scuola. Agli studi tecnici viene costantemente negato del prestigio. Così i migliori studenti vengono indirizzati verso i licei e il resto verso gli istituti professionali. Inoltre c'è poco movimento, è molto difficile che gli studenti passino da un percorso ad un altro. E le donne, che sono più brave, finiscono al classico e di lì verso le facoltà umanistiche per poi ritrovarsi su percorsi svantaggiati in termini occupazionali.

Quanto contano i genitori nelle aspettative dei ragazzi e delle ragazze?
In parte i genitori vogliono che i figli continuino a studiare e anche questo aiuta in qualche mondo a spiegare l'incertezza. Si tende a rinviare sempre di più l'inserimento sul lavoro e si rende ancor meno percepibile tale prospettiva, per quanto anche la scelta dell'università andrebbe fatta tenendo presente gli sbocchi occupazionali.

Ai fini di una decisione conta di più la madre o il padre?
Entrambi i genitori considerano grave l'abbandono degli studi, ma le madri sono più preoccupate dei padri. Ma la cosa più sorprendente, per alcuni versi, è che sono proprio le madri la fonte di maggiore influenza al momento della decisione. Più degli insegnanti, secondi in termini di influenza, e più dei padri che arrivano solo terzi. Questo fatto, seppure spiegabile, è curioso anche perché le madri sono in linea generale meno istruite dei padri e hanno avuto una minore esperienza nel lavoro. E questo fenomeno può dar luogo a delle distorsioni.

Sono i ragazzi o le ragazze a guardare con maggiore interesse al lavoro?
I ragazzi sono animati da una voglia di andare al più presto al lavoro, però quando abbiamo chiesto agli studenti di dire se ritenevano necessaria l'opportunità di irrobustire i legami scuola-lavoro abbiamo visto che erano le ragazze ad essere più interessate. Sono proprio loro a chiedere più tirocini o contatti diretti con le aziende. Si direbbe quasi che la propensione al lavoro dei ragazzi sia più un desiderio di fuga dallo studio che la voglia di approdare al lavoro.

Quanto a prospettive professionali future, i più disincantati e disillusi sono gli studenti degli istituti professionali. Cosa c'è di sbagliato?
Tra i vari tipi di scuola le disparità discendono dalla bontà dei risultati precedenti e molto è già determinato al momento della scelta dei corsi di scuola superiore. Ci sono ampie differenze tra i veri percorsi nella propensione a scegliere subito il lavoro. I licei sono considerati migliori e per certi versi è così. C'è una maggiore omogeneità, si riscontrano minori manifestazioni di disagio, sono luoghi dove è più facile insegnare e quindi è più facile imparare. Negli istituti professionali, i ragazzi sono tendenzialmente meno motivati, c'è meno organizzazione che non dipende dagli insegnanti, è oggettivamente più difficile fare buona scuola. Si innesca un meccanismo che si autoperpetua, anche chi ha delle aspirazioni tecniche, finisce per essere influenzato dal minor prestigio e dalle condizioni della scuola.

C'è qualche esempio europeo da seguire per evitare un dualismo così estremo tra licei da una parte e istituti professionali e tecnici dall'altra?
Ci sono diverse forme di organizzazione, ma i problemi che abbiamo in Italia sono presenti anche altrove. In alcuni contesti si è cercato di unificare anche la scuola media superiore per evitare questa differenziazione così strutturata, non ci sono dati però che dimostrino i risultati ottenuti. Resta l'evidenza, come dimostra l'indagine Pisa-Ocse, che i quindicenni italiani sono un po' meno bravi dei loro coetanei stranieri. Che qualcosa non vada nella didattica è innegabile.
(15 novembre 2005)


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