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Repubblica: "Io combattevo la scala mobile quando Emma era una bambina"

Il segretario della Cgil respinge le accuse della leader di Confindustria

02/10/2008
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la Repubblica

Epifani: le imprese vogliono ridurre i salari

I lavoratori rischiano di pagare due volte l´aumento del prezzo del petrolio: una volta in busta paga e l´altra in quanto consumatori
Sottovalutano le conseguenze sulle retribuzioni della proposta degli industriali, la piattaforma unitaria era più ambiziosa

ROBERTO MANIA

ROMA - «È un´accusa del tutto fuori luogo e anche ridicola. Ricordo a Emma Marcegaglia che nell´84 io mi battevo contro gli effetti perversi della scala mobile. Mi presi gli insulti per questo. All´epoca, Emma Marcegalia era poco più d´una bambina, quindi non può ricordare, altrimenti non avrebbe detto quelle cose. Non permetto a nessuno di sostenere che vorrei ripristinare la scala mobile». Questa è l´unica frase che Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil pronuncia alzando appena il tono di voce. Non ci sta, lui con un passato socialista, ad essere additato come il fautore di un ritorno alla scala mobile. Per il resto è con calma serafica che spiega le ragioni della rupture con la Confindustria ma anche con Cisl e Uil. Sostiene che gli industriali puntano a «programmare la riduzione dei salari», e a comprimere gli spazi per la contrattazione, quindi il ruolo del sindacato. Difende ancora la piattaforma unitaria per un sistema contrattuale valido per tutti, evitando «dumping sociale» per imprese e lavoratori. Ma ammette che con Cisl e Uil - anche se dice che andrebbe evitata in questa fase di crisi economica - «si può aprire una stagione diversa». Non quella - certo - dell´unità sindacale.
Perché ha respinto la proposta della Confindustria? Non era d´accordo anche la Cgil a rafforzare la contrattazione in azienda?
«La proposta degli industriali opera due correzioni al ribasso. Intanto abbassa la base retributiva sulla quale calcolare gli incrementi a livello nazionale. È un´operazione che, a seconda dei settori, può portare a una riduzione della base di partenza dal 12 al 30 per cento».
Più in concreto: quali effetti avrebbe, per esempio, su un aumento retributivo del 6 per cento?
«Che, anziché essere del 6, scenderebbe al 5,2 per cento o al 4,2. Ecco che cosa significa. Ed è una cosa non tollerabile in una fase di progressivo impoverimento dei redditi fissi».
Però al posto dell´inflazione programmata, che il governo fissa molto lontana da quella effettiva, ci sarebbe un indice più realistico. Questo non sarebbe un vantaggio per le retribuzioni?
«Guardi che nella proposta della Confindustria quell´indice verrebbe depurato dall´inflazione importata, in particolare dall´aumento dovuto alla dinamica dei prezzi petroliferi. Sa cosa vuol dire questo? Che i lavoratori pagherebbero due volte l´aumento della benzina e della bolletta energetica: una volta come consumatori, una volta come lavoratori dipendenti. Le sembra giusto? In più una strada di quel tipo toglierebbe ogni responsabilità a imprese e governo sulla politica dei redditi».
I lavoratori, tuttavia, recupererebbero attraverso la contrattazione di secondo livello.
«Non c´è alcuna spinta a allargare e a innovare sul piano qualitativo la contrattazione aziendale. Di fatto si conferma la prassi vigente. E poi, accanto a un meccanismo ipertrofico di procedure e sanzioni, si snatura il ruolo del sindacato al quale verrebbero affidate, attraverso gli enti bilaterali, funzioni di servizio alle imprese: dalla gestione del collocamento, agli ammortizzatori sociali, fino alla certificazione dei rapporti di lavoro. Ricordo che solo poco tempo fa la Confindustria la pensava come la Cgil».
Possibile che Cisl e Uil, pronte a chiudere con la Confindustria, non si siano accorte di tutti questi aspetti?
«Non lo so. Ritengo che ci sia una sottovalutazione delle conseguenze sulle dinamiche retributive, tanto più che il governo ha deciso di non sostenere il lavoro dipendente attraverso le detrazioni fiscali».
Ma si dovrà pur cambiare qualcosa per far sì che i lavoratori italiani non siano in Europa quelli con gli stipendi più bassi.
«In questo contesto manterrei il modello del luglio ´93 sostituendo all´inflazione programmata un indice più realistico. Ricordo, tuttavia, che la piattaforma unitaria era ben più ambiziosa».
Pensa che Cisl e Uil arriveranno all´accordo separato?
«Non so cosa accadrà. Io non pongo né veti, né ultimatum. Né intendo accettarli. È bene che ciascuno rifletta sulle proprie scelte. A Confindustria dico che non siamo di fronte a un accordo aziendale o di settore. Sono in discussione le regole, l´architettura, delle relazioni industriali. Sarebbe di buon senso condividerle. E poi perché sottoporre a una nuova lacerazione il paese in un momento di difficoltà? Lo dico a Confindustria perché sono le controparti a decidere gli accordi separati, non certo Cisl e Uil».
Se si dovesse andare a un accordo separato, la Cgil presenterà per ogni rinnovo contrattuale la sua piattaforma?
«Sì. Ma per questa via c´è il rischio di una rincorsa senza fine. Insomma non vorrei trovarmi ad essere scavalcato da chi oggi condivide l´impostazione della Confindustria. Resta il fatto che di fronte a posizioni diverse bisognerà restituire la parola ai lavoratori che abbiamo consultato sulla piattaforma unitaria».
Si dice che i vertici del Pd non apprezzino la sua linea sui contratti. Le risulta?
«La posizione della Cgil è rigorosamente e strutturalmente una posizione sindacale. La contrattazione è una materia che riguarda la vita stessa di un sindacato. Tutta la politica deve fare un passo indietro. Poi ciascuno può esprimere le sue valutazioni su questa vicenda».


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